Lo sciopero non è «ormai evitabile». Le parole affidate dal presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, a Repubblica, non lasciano spazio a dubbi: le toghe sono pronte a scendere in piazza contro la riforma del Csm, considerata dannosa e addirittura pericolosa. E a indispettire è stata soprattutto la scelta di condensare la storia di ogni magistrato in un fascicolo, dal quale far dipendere il suo futuro. Scelte che per AreaDg si possono riassumere nell’espressione «imbarazzanti pagelline», i cui effetti su «autonomia e indipendenza» saranno devastanti. Lo sciopero, dunque, è ormai cosa certa: «È la base - tutta - a chiederlo», confermano dalle parti di Anm. «Non ci resta altra scelta - afferma AreaDg -. Questa protesta non è una difesa di corporazione perché non cambierebbe nulla, per noi: ci basterebbe adeguarci al volere dei superiori, con buona pace di chi ci chiede giustizia». La protesta verrà annunciata ufficialmente martedì 19, durante il Comitato direttivo centrale, lo stesso giorno in cui il testo licenziato dalla Commissione Giustizia arriverà in aula. La giunta esecutiva ha inoltre annunciato, per sabato 30 aprile, la convocazione dell'Assemblea generale dei soci, durante la quale verranno espresse le valutazioni sulla riforma e decise le iniziative da assumere. La minaccia di sciopero non ha però agitato i sonni della ministra della Giustizia Marta Cartabia, che giovedì notte è riuscita a portare a casa il voto di tutti gli emendamenti in Commissione Giustizia. Ma ad indispettirsi è il senatore forzista Maurizio Gasparri, secondo cui la protesta «contro il Parlamento» sarebbe «un’ulteriore offesa alla democrazia e ad organi istituzionali», dal «tenore eversivo», il tentativo di «alcune correnti politicizzate» di impedire al Parlamento «di assumere decisioni nel rispetto dei principi costituzionali». Ma non solo, si tratterebbe anche di una «reazione corporativa», afferma il vicesegretario di Azione, Enrico Costa, secondo cui «la levata di scudi delle correnti dimostra chiaramente come temano di perdere il controllo che detengono grazie a quel 99% di valutazioni di professionalità “automaticamente” positive». Il fascicolo personale del magistrato, dunque, rappresenterebbe la fine di un’era. Tale “strumento” esiste in realtà dal 2006, ma ora verrà aggiornato anno per anno, e non più a campione, raccogliendo così la storia complessiva delle attività svolte e l’iter dei vari provvedimenti. Un fascicolo che contiene tra gli indicatori anche quello della “sussistenza dei caratteri di grave anomalia” e che garantirebbe «una fotografia complessiva del lavoro svolto, non un giudizio sui singoli provvedimenti». Ma le novità della riforma sono tante. A partire dal sistema elettorale binominale con quota proporzionale, nonché il sorteggio dei distretti di Corte d’Appello per formare i collegi per eleggere i 30 membri del Consiglio. Non sono previste liste: le candidature sono individuali e in caso di carenza di candidati (ogni collegio deve contarne minimo sei) si integra con il sorteggio. Un modo, nell’ottica del governo, per garantire maggiore imprevedibilità, rendendo più difficili le spartizioni tra correnti. Sul punto i più critici sono sicuramente i parlamentari di Italia Viva, che hanno già annunciato la loro astensione. Per il deputato Cosimo Ferri, infatti, si tratta di una «riforma al ribasso che accentua posizioni di potere e aumenta le poltrone. Non ci sarà nessun cambiamento». Tant’è, afferma, che «le correnti forti in realtà gongolano: è stato scelto lo stesso sistema elettorale che tagliò fuori dal Csm Giovanni Falcone, noi chiedevamo discontinuità e una spinta riformatrice innovativa». E non è completamente soddisfatto nemmeno il M5S, secondo cui tale sistema «rischia di peggiorare la situazione esistente». Ma nel complesso i grillini esultano, soprattutto per lo stop alle porte girevoli, che definiscono un loro successo. La riforma introduce infatti il divieto di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e governativi, come invece attualmente possibile. Sarà impossibile essere eletti dove si è esercitata, negli ultimi tre anni, la funzione di magistrato e a fine mandato le toghe che hanno ricoperto cariche elettive non potranno più tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale, finendo per essere collocati fuori ruolo. Oggi la Commissione ha votato, con l’astensione di Italia Viva, il mandato ai relatori Walter Verini (Pd) e Eugenio Saitta (M5S). Si è trattato di un percorso «faticoso» per raggiungere un equilibrio, caratterizzato però da alcuni distinguo. Per Alfredo Bazoli (Pd) aver evitato di introdurre «elementi incostituzionali» come il sorteggio rappresenta un successo, in quanto lo stesso avrebbe rappresentato una «pericolosa manifestazione di sfiducia verso i magistrati». Soddisfatto anche il forzista Pierantonio Zanettin, felice di aver ridotto ad uno i passaggi di funzione tra requirenti e giudicante penale. Ed anche la Lega, nonostante il voto all’emendamento di Fratelli d’Italia, ha ribadito la propria fedeltà agli accordi, tramite Ingrid Bisa. Ma le novità sono tante, come la separazione tra disciplinare e nomine, per «contrastare gli accordi di potere», ha sottolineato il Pd, lo stop alle nomine a pacchetto, con l’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi seguendo l’ordine cronologico delle scoperture, e il diritto di voto unitario per l’avvocatura nei Consigli giudiziari, ma solo se a monte c’è una segnalazione sul magistrato in valutazione (sia positiva che negativa) e, in ogni caso, con possibilità di sollecitare una delibera del Consiglio dell’ordine. Prevista anche una riduzione del numero massimo dei magistrati fuori ruolo, numero che verrà stabilito successivamente con i decreti attuativi.