Qualcuno dirà che si poteva fare meglio, che la guardasigilli non ha voluto affondare il colpo, né ha avuto la forza di compiere fino in fondo la rivoluzione di cui la giustizia aveva davvero bisogno. Eppure noi pensiamo che non sia così: la riforma del Csm che l’Aula (Salvini permettendo) dovrà votare, è un evento storico perché rompe 30 anni di egemonia panpenalista e riafferma principi (della separazione, seppur attenuata, delle funzioni alla “pagella” per i magistrati) che erano stati sepolti da decenni di pensiero unico, di appiattimento sulle “ragioni” della magistratura. Insomma, anche grazie alla spinta referendaria, il Parlamento ha potuto affrontare temi che erano inimmaginabili fino a pochi anni fa, forse addirittura mesi. LEGGI ANCHE: Così Putin (e non Zelensky) rifiutò di trattare e incontrare il presidente americano Joe Biden Forse qualcuno ha dimenticato le “scorribande” di qualche magistrato che, senza contraddittorio e passando da uno studio tv all’altro, teorizzava “impunemente” il ribaltamento dell'onere della prova; o quel ministro che andava ripetendo che la giustizia italiana era un modello e che gli innocenti, qui da noi, non vanno in carcere; tutto questo nel Paese in cui ogni giorno tre persone finiscono in cella da innocenti. Parliamo di 30mila persone in 30 anni e di 46 milioni spesi in indennizzi, per chi è più attento ai soldi piuttosto che ai diritti. Il che ci porta dritti dritti a uno dei punti che più hanno innervosito i magistrati. E parliamo del cosiddetto “fascicolo delle performance” che dovrà servire a valutare la professionalità e la correttezza delle nostre toghe. Si tratta di un passaggio fondamentale che stabilisce per la prima volta la responsabilità professionale del magistrato di fronte ai propri errori. Errori, è bene ricordare, che spesso investono in modo drammatico la vita di migliaia di cittadini italiani. Insomma, per capire la portata di quel che sta accadendo in questi giorni in commissione Giustizia, dobbiamo volgere lo sguardo dietro di noi e tornare ai “magnifici anni ’90”, all’esplosione di Tangentopoli, alla divinizzazione dei pm che cambiarono il Paese (c’è chi parla di golpe) massacrando in modo sistematico il nostro Stato di diritto. Ecco, questo è uno di quei casi in cui il passato dovrebbe esserci utile per capire cosa accade nel presente. Qui non si tratta di ingoiare la migliore delle riforme possibili ma di riconoscere la fine di un'era: l’era dell’egemonia delle procure.