Caro Draghi, scegliere la pace significa scegliere il condizionatore
Messa così, la scelta posta dal premier risulta fuorviante: se un embargo ancor più duro si rendesse necessario vorrebbe dire che la guerra deve proseguire ancora a lungo
Pace o condizionatore? Per il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è questa la scelta che gli europei sono chiamati a prendere davanti alla guerra in Ucraina. Perché a costo di una crisi energetica, derivante dal possibile blocco all’importazione del gas di Mosca, l’Occidente deve scegliere da che parte stare. Ma messa così, la contrapposizione tra le opzioni potrebbe essere fuorviante per una serie di motivi.
Tanto per cominciare perché l’inasprimento delle sanzioni al regime putiniano non equivale esattamente alla pace. Al contrario, se un embargo ancor più duro si rendesse necessario vorrebbe dire che la guerra (economica e armata) deve proseguire, e a lungo, con tutto il carico di morte e devastazione. Perché un conto è decidere di sostenere la difesa ucraina dall’aggressione – in nome della libertà o della sovranità o del semplice ridimensionamento politico dello zar – altro è definire pace questa scelta.
Armare gli ucraini, il premier ce lo consentirà, non significa lavorare per la pace ma per la sconfitta militare russa. Per raggiungere una tregua duratura serve il dialogo e l’offerta di una via d’uscita onorevole per entrambi i contendenti (senza mai confondere tra vittime e carnefici). Provare invece a mettere in ginocchio, e all’angolo, l’economia della più grande potenza nucleare al mondo potrebbe non essere saggio. Quando il condizionatore si spegne, inoltre, si spengono i consumi, le produzioni vanno in affanno e a pagare il prezzo sono i settori sociali più esposti ai rincari e alla disoccupazione. Ma la contrapposizione proposta da Draghi potrebbe essere fuorviante anche per ragioni ben più serie che vanno oltre il nostro ombelico. La guerra, infatti, oltre a produrre orrore e a mettere in difficoltà il Vecchio Continente, rischia di lasciare alla fame vera e propria intere popolazioni che non occupano questa parte del globo. Per una quindicina di paesi africani, ad esempio, l’approvvigionamento del grano dipende per oltre il 50 per cento dalle importazioni provenienti dall’Ucraina e dalla Russia.
Un dato allarmante, sottolineato poche settimane fa anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. «L’aggressione contro l’Ucraina» ha conseguenze che vanno ben oltre l’Europa, ha fatto notare la numero uno della Commissione. «I bisogni umanitari sono già ai massimi storici», e la guerra di Putin «minaccia la sicurezza alimentare in tutto il mondo». Un’analisi, totalmente condivisa da Save the Children, secondo cui la crisi bellica «riguarda direttamente 50 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni che nel 2020 erano già gravemente malnutriti. La dipendenza internazionale dalle forniture di grano di Russia e Ucraina, può avere un impatto drammatico su famiglie e bambini nelle aree già fragili. Basti pensare allo Yemen o alla Siria, martoriati rispettivamente da 7 anni e 11 anni di conflitto, o il Libano, dove le importazioni di grano sono legate per l’80 per cento a Ucraina e Russia».
Altro che approvvigionamento energetico. La guerra va fermata e subito o avrà conseguenze catastrofiche. Per questo dovremmo scegliere il condizionatore, perché significherebbe scegliere la pace.
Caro Draghi, scegliere la pace significa scegliere il condizionatore
Pace o condizionatore? Per il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è questa la scelta che gli europei sono chiamati a prendere davanti alla guerra in Ucraina. Perché a costo di una crisi energetica, derivante dal possibile blocco all’importazione del gas di Mosca, l’Occidente deve scegliere da che parte stare. Ma messa così, la contrapposizione tra le opzioni potrebbe essere fuorviante per una serie di motivi.
Tanto per cominciare perché l’inasprimento delle sanzioni al regime putiniano non equivale esattamente alla pace. Al contrario, se un embargo ancor più duro si rendesse necessario vorrebbe dire che la guerra (economica e armata) deve proseguire, e a lungo, con tutto il carico di morte e devastazione. Perché un conto è decidere di sostenere la difesa ucraina dall’aggressione – in nome della libertà o della sovranità o del semplice ridimensionamento politico dello zar – altro è definire pace questa scelta.
Armare gli ucraini, il premier ce lo consentirà, non significa lavorare per la pace ma per la sconfitta militare russa. Per raggiungere una tregua duratura serve il dialogo e l’offerta di una via d’uscita onorevole per entrambi i contendenti (senza mai confondere tra vittime e carnefici). Provare invece a mettere in ginocchio, e all’angolo, l’economia della più grande potenza nucleare al mondo potrebbe non essere saggio. Quando il condizionatore si spegne, inoltre, si spengono i consumi, le produzioni vanno in affanno e a pagare il prezzo sono i settori sociali più esposti ai rincari e alla disoccupazione. Ma la contrapposizione proposta da Draghi potrebbe essere fuorviante anche per ragioni ben più serie che vanno oltre il nostro ombelico. La guerra, infatti, oltre a produrre orrore e a mettere in difficoltà il Vecchio Continente, rischia di lasciare alla fame vera e propria intere popolazioni che non occupano questa parte del globo. Per una quindicina di paesi africani, ad esempio, l’approvvigionamento del grano dipende per oltre il 50 per cento dalle importazioni provenienti dall’Ucraina e dalla Russia.
Un dato allarmante, sottolineato poche settimane fa anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. «L’aggressione contro l’Ucraina» ha conseguenze che vanno ben oltre l’Europa, ha fatto notare la numero uno della Commissione. «I bisogni umanitari sono già ai massimi storici», e la guerra di Putin «minaccia la sicurezza alimentare in tutto il mondo». Un’analisi, totalmente condivisa da Save the Children, secondo cui la crisi bellica «riguarda direttamente 50 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni che nel 2020 erano già gravemente malnutriti. La dipendenza internazionale dalle forniture di grano di Russia e Ucraina, può avere un impatto drammatico su famiglie e bambini nelle aree già fragili. Basti pensare allo Yemen o alla Siria, martoriati rispettivamente da 7 anni e 11 anni di conflitto, o il Libano, dove le importazioni di grano sono legate per l’80 per cento a Ucraina e Russia».
Altro che approvvigionamento energetico. La guerra va fermata e subito o avrà conseguenze catastrofiche. Per questo dovremmo scegliere il condizionatore, perché significherebbe scegliere la pace.
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