Tutto ora perde di attualità, perché sale il livello dei problemi che abbiamo davanti. Ma le questioni rimangono, riemergono, resteranno da affrontare. E dunque ci si può prendere qualche appunto per dopo (sperando che il dopo arrivi presto…). Stavamo forse uscendo faticosamente da una crisi, quella pandemica, che ci ha condizionato negli ultimi due anni. Era il momento di riorganizzarsi per ripartire. E si stava parlando di giustizia, si stavano prospettando modifiche consistenti. Pareva di essere a un punto di svolta, reso possibile da una coincidenza di fattori: dallo svolgimento dei referendum a una situazione politica anomala ma caratterizzata dalla determinazione a fare quanto ritenuto utile alla ripresa. Insomma, sembrava imminente né più né meno che la riforma della giustizia. Speriamo che sia ancora così, nonostante quel gigantesco punto di domanda che la guerra fa ora gravare su tutto. Speriamo che sia così anche per la giustizia amministrativa. Non era oggetto di grandissime proposte di riforma, ma gli ultimi emendamenti governativi al disegno di legge sul Csm avevano toccato una questione tutt’altro che irrilevante: gli incarichi extragiudiziari dei magistrati (anche) amministrativi. E, in realtà, tutto il quadro della giustizia amministrativa pareva in movimento sotto vari profili. Denunce pubbliche – discutibili nei toni e da verificare nei contenuti – avevano comunque contribuito a una maggior consapevolezza collettiva sulle questioni strutturali della giustizia amministrativa, sulle situazioni critiche, sulle possibili interferenze. E poi l’emergenza sanitaria ci aveva costretto a spalancare le porte del processo alla telematica, con prospettive davvero innovative. Le udienze “da remoto”, ad esempio: strumento che nel nostro settore ha dato buona prova di sé e non merita di essere accantonato. Infine, si preannunciava una nuova stagione di codici. In particolare quello – attesissimo – dei contratti pubblici, da redigere ad opera del Consiglio di Stato (secondo le intenzioni espresse dal Governo).Sulla giustizia amministrativa, per il momento, appuntiamoci solo che c’è da metterci mano. Non sembra tanto il processo a dover essere riformato. Beninteso, qualche riflessione si impone anche lì. Forse si sono creati troppi percorsi diversi per giungere alla decisione (tra istanze di prelievo di vario tipo, esigenze di smaltimento, alternanze tra udienze camerali e udienze pubbliche), così il sistema è diventato più complicato del necessario. E certo non dobbiamo mai perderne di vista, in concreto, la funzionalità e la capacità di incidere sull’attività amministrativa illegittima: insomma, se serve a ciò cui deve servire. E magari qualche nuova regola – semplice da scrivere, ma incidente su consuetudini secolari – potrebbe dare al processo amministrativo un volto nuovo. Per dire, tra le molte idee già avanzate: basterebbe che il giudizio amministrativo fosse avviato dal ricorrente con la chiamata a un’udienza a una certa data, come di regola nel civile, anziché come ora con un ricorso avanti un giudice che fissa l’udienza quando può e vuole (cioè, non si sa quando…). Oppure si potrebbe introdurre una qualche forma di preavviso della decisione. Se il giudice sta per darmi torto, cioè, deve prima informarmi sommariamente delle ragioni della sua decisione e consentirmi di formulare delle rapide osservazioni finali. Se c’è un errore evidente, forse posso contribuire a toglierlo di mezzo prima che divenga sentenza. Un meccanismo in qualche modo simile al pre diniego, che ormai ci è diventato familiare nel procedimento amministrativo. Fantascienza? Può essere, ma se vogliamo intervenire sul processo amministrativo, al di là di modificare puntualmente le singole disposizioni, qualche idea veramente nuova è utile averla. Ma, processo a parte, rimane da ripensare l’ordinamento attuale della magistratura amministrativa. E qui la parola “riforma” sembra sempre più imposta dai tempi. Come prima cosa, per fornire il miglior “servizio giustizia” è necessario che l’avvocatura non sia esclusa dalla governance della giustizia amministrativa. Non va bene, dunque, una composizione del Consiglio di presidenza cui è oggi estranea ogni espressione dell’avvocatura. E la frequente collaborazione a livello di ciascun Tar tra avvocati e giudici amministrativi deve concretarsi nella previsione normativa di tavoli permanenti di confronto: tavoli la cui esistenza non dipenda cioè da scelte individuali, e che siano chiamati a un apporto utile all’esercizio della funzione. E poi deve essere valutata senza preconcetti la storica concentrazione di più ruoli nel Consiglio di Stato (giudice d’appello ma anche “consulente” cui ci si affida per scrivere norme fondamentali, come il nuovo codice dei contratti). Sono dunque da individuare tempi e modi adeguati nel passaggio dei consiglieri tra l’una e l’altra funzione dell’organo cui appartengono. Ed è impraticabile ogni idea di attribuire funzioni consultive anche ai Tar. Quanto agli incarichi extragiudiziari: l’immagine stessa delle “porte girevoli” – come ormai la questione viene “etichettata” – è denigratoria, e rende evidente che va tutelato un prestigio messo ora a rischio. Prestigio, ovviamente, non dei singoli ma della funzione. Tutto ciò ha a che fare con l’assetto della magistratura amministrativa e con le ragioni della sua peculiare distinzione tra giudici Tar e consiglieri di Stato. Ma soprattutto ha a che fare con l’indipendenza del giudice rispetto ai possibili condizionamenti “di sistema”: condizionamenti anche indiretti, anche inconsapevoli, anche solo immaginati. E il rinnovato articolo 111 della Costituzione, con il richiamo alla parità delle parti davanti a un giudice terzo e imparziale, ha un significato essenziale nella giustizia amministrativa. Come direbbe Gertrude Stein, “un giudice è un giudice è un giudice”. Non altro. (*CONSIGLIERE UNIONE NAZIONALE AVVOCATI AMMINISTRATIVISTI)