Guardo alla guerra in corso da un particolare punto di osservazione: un parco giochi dove, quasi quotidianamente, porto a giocare il più piccolo dei miei nipoti. C’è tanta allegria intorno, i bambini giocano, si dondolano sull’altalena, scalano una collinetta artificiale. Poco distante i ragazzi di poco più grandi, giocano al pallone. Mio nipote si lancia ad “alta velocità” sullo scivolo e pretende che io l’aspetti a braccia aperte.
Lo stringo a me. Non mi sfugge la gravità di quanto sta succedendo in Ucraina. La sequenza logica è quella di cento anni fa. Sarajevo: una scintilla, una reazione e poi l’incendio. Allora, i governi hanno messo fine alla “bella epoque” e i popoli si son ritrovati in una guerra che, a sua volta, ha generato il fascismo, il nazismo, lo stalinismo e ancora un’altra guerra. Anche allora i bambini giocavano e gli uomini erano nei campi a lavorare. I governi hanno deciso per loro e l’Europa sacrificò la propria gioventù.
In questi giorni mi accade spesso di guardare negli occhi mio nipote, lo osservo mentre gioca con altri bambini e penso a questa insensata e maledetta guerra. Chi avrebbe il diritto di condannarli a morte senza neanche consentirci un tentativo di difesa? Quale entità maligna potrebbe volere la soppressione di migliaia di bambini, oggi in Ucraina, domani- Dio non voglia- in Italia e in Europa?
Non riconosco ad alcuno un tale diritto e per nessuna ragione al mondo. Men che meno a uno “Stato” che sia il “mio” o quello di altri non ha nessuna importanza. Preferisco mille volte “l’anarchia” (e non sono anarchico) a uno stato folle che si arroga il diritto di causare la morte violenta di una sola bambina.
Anni fa la Calabria visse il periodo più brutto della sua storia: la ‘ stagione’ dei sequestri di persona che non hanno risparmiato neanche ragazzi e persino bambini. I sequestratori ci apparivano – e probabilmente erano – persone appartenenti all’età della pietra. Cercavamo, ma inutilmente, di trovare qualcosa di umano nel loro infame gesto. Non c’era!
Tra tutti, questi furono in assoluto i peggiori ndranghetisti! Cambia qualcosa se li chiamiamo “statisti”? Cambia qualcosa se i sequestrati invece di essere “uno” diventa un popolo intero? E se i morti invece di dieci diventano mille o un mese.
Qualcuno sosterrà che non si può paragonare un capo di Stato a un capo mafia e per molti sarebbe una bestemmia il solo accostare la figura di Putin, di Assad, di Bush II o Tony Blair a un capo ndrangheta. Mi astengo dal farlo, però qualcuno porta la responsabilità di migliaia di bambini iracheni, siriani, afghani, libici, bosniaci, ceceni uccisi nei bombardamenti. E non ci sono – non ci possono essere – ragioni di Stato che tengono davanti al massacro di innocenti. Credo che alla base del nostro atteggiamento prono verso chi comanda, anche in casi estremi come la guerra, vi sia una millenaria sottomissione alle “autorità costituite” anche quando queste si arrogano diritti che collidono con ogni patto sociale.
Eppure c’è una massima evangelica che dice: “chiama pane il pane e vino il vino” il che vorrebbe dire che i carnefici tali restano anche quando passano in rassegna picchetti d’onore e vengono ricevuti con le fanfare. Oggi qualcuno ci invita a fare una chiara scelta di campo tra le forze che si combattono: non ci può essere dubbio alcuno che chi ama la pace si collochi SEMPRE dalla parte dei deboli e degli aggrediti. Oggi gli ucraini come ieri gli iracheni o i siriani. Distinguendo però tra popoli e Stati. Nel 1941 i nostri giovani furono mandati, senza ragione alcuna, ad aggredire gli ucraini ed i russi. Non erano gli “aggressori”. Ne ho conosciuto parecchi di cui uno molto bene. Erano per lo più contadini a loro volta aggrediti, piegati e sottomessi da uno Stato che comandava su di loro ma non era il loro.
Dopo lo sbandamento dell’ 8 settembre in molti casi, furono aiutati e salvati dai contadini ucraini. Gli Stati si fanno la guerra, spesso per interessi dei pochi. I popoli si parlano e, se fossero liberi dall’imbardatura del nazionalismo e del fanatismo irrazionale inoculati dai governi e dalle classi dominanti, non si farebbero mai la guerra. Oggi, se veramente fossimo uomini civili e liberi, non dovremmo e non potremmo sottometterci a potenziali assassini e dinanzi alla minaccia di “guerra” non potremmo chinare la testa così come fecero i nostri nonni.
E qui ritorna lo sguardo d’un bimbo innocente che si diverte al parco giochi. In questo stesso momento mentre scrivo forse un bimbo muore a Kiev sotto i bombardamenti, forse una bimba russa perde il padre in battaglia. Per sempre. Tra una ventina d’anni, Putin non sarà più presidente della Russia e l’Ucraina forse sarà in pace, ma quel bimbo non giocherà mai più, mentre la bimba non conoscerà mai suo padre. L’unico modo di “vendicare” i bambini finora uccisi in Ucraina è quello di evitare che un altro solo bambino ucraino, russo, polacco o americano possa essere stritolato nell’infernale macchina da guerra che s’è messa in moto. Ed è innanzitutto in nome loro che i popoli devono fermare a tutti i costi e in qualsiasi modo la guerra.
Tra il partito degli “arditi” sempre col pugnale in mezzo ai denti a invocare la guerra e la conseguente fine dello Stato di diritto, e il cosiddetto partito del “né- né” vi deve essere posto per il partito dei popoli. È il partito che più hanno temuto e temono i potenti di ogni tempo e di ogni luogo perché metterebbe a nudo l’assurdità della guerra, la contraddizione profonda tra “sovranità popolare”, gli stessi principi liberali e coloro che minacciano la stessa sopravvivenza dell’umanità.
Nessuna ragione di Stato giustifica il massacro in Ucraina
Guardo alla guerra in corso da un particolare punto di osservazione: un parco giochi dove, quasi quotidianamente, porto a giocare il più piccolo dei miei nipoti. C’è tanta allegria intorno, i bambini giocano, si dondolano sull’altalena, scalano una collinetta artificiale. Poco distante i ragazzi di poco più grandi, giocano al pallone. Mio nipote si lancia ad “alta velocità” sullo scivolo e pretende che io l’aspetti a braccia aperte.
Lo stringo a me. Non mi sfugge la gravità di quanto sta succedendo in Ucraina. La sequenza logica è quella di cento anni fa. Sarajevo: una scintilla, una reazione e poi l’incendio. Allora, i governi hanno messo fine alla “bella epoque” e i popoli si son ritrovati in una guerra che, a sua volta, ha generato il fascismo, il nazismo, lo stalinismo e ancora un’altra guerra. Anche allora i bambini giocavano e gli uomini erano nei campi a lavorare. I governi hanno deciso per loro e l’Europa sacrificò la propria gioventù.
In questi giorni mi accade spesso di guardare negli occhi mio nipote, lo osservo mentre gioca con altri bambini e penso a questa insensata e maledetta guerra. Chi avrebbe il diritto di condannarli a morte senza neanche consentirci un tentativo di difesa? Quale entità maligna potrebbe volere la soppressione di migliaia di bambini, oggi in Ucraina, domani- Dio non voglia- in Italia e in Europa?
Non riconosco ad alcuno un tale diritto e per nessuna ragione al mondo. Men che meno a uno “Stato” che sia il “mio” o quello di altri non ha nessuna importanza. Preferisco mille volte “l’anarchia” (e non sono anarchico) a uno stato folle che si arroga il diritto di causare la morte violenta di una sola bambina.
Anni fa la Calabria visse il periodo più brutto della sua storia: la ‘ stagione’ dei sequestri di persona che non hanno risparmiato neanche ragazzi e persino bambini. I sequestratori ci apparivano – e probabilmente erano – persone appartenenti all’età della pietra. Cercavamo, ma inutilmente, di trovare qualcosa di umano nel loro infame gesto. Non c’era!
Tra tutti, questi furono in assoluto i peggiori ndranghetisti! Cambia qualcosa se li chiamiamo “statisti”? Cambia qualcosa se i sequestrati invece di essere “uno” diventa un popolo intero? E se i morti invece di dieci diventano mille o un mese.
Qualcuno sosterrà che non si può paragonare un capo di Stato a un capo mafia e per molti sarebbe una bestemmia il solo accostare la figura di Putin, di Assad, di Bush II o Tony Blair a un capo ndrangheta. Mi astengo dal farlo, però qualcuno porta la responsabilità di migliaia di bambini iracheni, siriani, afghani, libici, bosniaci, ceceni uccisi nei bombardamenti. E non ci sono – non ci possono essere – ragioni di Stato che tengono davanti al massacro di innocenti. Credo che alla base del nostro atteggiamento prono verso chi comanda, anche in casi estremi come la guerra, vi sia una millenaria sottomissione alle “autorità costituite” anche quando queste si arrogano diritti che collidono con ogni patto sociale.
Eppure c’è una massima evangelica che dice: “chiama pane il pane e vino il vino” il che vorrebbe dire che i carnefici tali restano anche quando passano in rassegna picchetti d’onore e vengono ricevuti con le fanfare. Oggi qualcuno ci invita a fare una chiara scelta di campo tra le forze che si combattono: non ci può essere dubbio alcuno che chi ama la pace si collochi SEMPRE dalla parte dei deboli e degli aggrediti. Oggi gli ucraini come ieri gli iracheni o i siriani. Distinguendo però tra popoli e Stati. Nel 1941 i nostri giovani furono mandati, senza ragione alcuna, ad aggredire gli ucraini ed i russi. Non erano gli “aggressori”. Ne ho conosciuto parecchi di cui uno molto bene. Erano per lo più contadini a loro volta aggrediti, piegati e sottomessi da uno Stato che comandava su di loro ma non era il loro.
Dopo lo sbandamento dell’ 8 settembre in molti casi, furono aiutati e salvati dai contadini ucraini. Gli Stati si fanno la guerra, spesso per interessi dei pochi. I popoli si parlano e, se fossero liberi dall’imbardatura del nazionalismo e del fanatismo irrazionale inoculati dai governi e dalle classi dominanti, non si farebbero mai la guerra. Oggi, se veramente fossimo uomini civili e liberi, non dovremmo e non potremmo sottometterci a potenziali assassini e dinanzi alla minaccia di “guerra” non potremmo chinare la testa così come fecero i nostri nonni.
E qui ritorna lo sguardo d’un bimbo innocente che si diverte al parco giochi. In questo stesso momento mentre scrivo forse un bimbo muore a Kiev sotto i bombardamenti, forse una bimba russa perde il padre in battaglia. Per sempre. Tra una ventina d’anni, Putin non sarà più presidente della Russia e l’Ucraina forse sarà in pace, ma quel bimbo non giocherà mai più, mentre la bimba non conoscerà mai suo padre. L’unico modo di “vendicare” i bambini finora uccisi in Ucraina è quello di evitare che un altro solo bambino ucraino, russo, polacco o americano possa essere stritolato nell’infernale macchina da guerra che s’è messa in moto. Ed è innanzitutto in nome loro che i popoli devono fermare a tutti i costi e in qualsiasi modo la guerra.
Tra il partito degli “arditi” sempre col pugnale in mezzo ai denti a invocare la guerra e la conseguente fine dello Stato di diritto, e il cosiddetto partito del “né- né” vi deve essere posto per il partito dei popoli. È il partito che più hanno temuto e temono i potenti di ogni tempo e di ogni luogo perché metterebbe a nudo l’assurdità della guerra, la contraddizione profonda tra “sovranità popolare”, gli stessi principi liberali e coloro che minacciano la stessa sopravvivenza dell’umanità.
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