Vorrei interrompere il nostro excursus storico, per riflettere meglio sul tema conclusivo della scorsa settimana: nel medioevo i detenuti contraevano un debito con i propri carcerieri per coprire le spese sostenute durante gli anni di carcerazione e, tale debito, a mio avviso richiama direttamente le attuali spese di mantenimento alle quali sono condannati gli ospiti delle nostre patrie galere.

Eppure è sentimento comune che i detenuti vivano in galera a spese della collettività.

Quanto c’è di vero in questo?

Tutto, o forse nulla! Chi trascorre un periodo in galera, quando è libero è condannato a pagare delle spese di mantenimento, cifra non sempre modica e sicuramente difficile da pagare per chi vive di espedienti o, peggio, non presa minimamente in considerazione da coloro che hanno sviluppato un atteggiamento truffaldino nei confronti della società.

Oltre a questo, sono soldi che non possono essere riscossi se il debitore risulta nulla tenente e senza reddito, rappresentando così il miglior incentivo per chi termina una pena a rifiutare un lavoro legale e contrattualizzato favorendo tutto ciò che comporta pagamenti non tracciati o, peggio, un ritorno all’illegalità con una buona probabilità di commettere nuovi reati e tornare in carcere.

Le spese di mantenimento sono quindi miliardi di euro di crediti che lo Stato italiano ha nei confronti di quanti hanno soggiornato nei suoi istituti, che contribuiscono a formare il bilancio dello Stato ma che sono sempre quasi impossibili da esigere. Da questo punto di vista, nella sostanza, ha ragione chi dice: “I delinquenti hanno vitto e alloggio a spese della collettività!”. Cambia tutto se invece la persona detenuta avesse modo di accedere al lavoro durante il periodo di detenzione. Attraverso il lavoro si può pagare mensilmente il proprio mantenimento; non sentirsi un peso per la propria famiglia e più in generale per la collettività contribuendo in questo modo a rendere la pena più dignitosa e smentire definitivamente chi li accusa di vivere “a sbafo” della società. Una pena dignitosa attraverso il lavoro, ma non affrettiamo i tempi e il prossimo venerdì torneremo al nostro viaggio storico, fondamentale per cogliere pienamente il senso del lavoro e delle varie tipologie di esso che viene offerto nelle nostre carceri.

Oscar La Rosa

FOUNDER ECONOMIA CARCERARIA