Cambiano i governi, cambia anche il ministro della Giustizia, ma non cambia la continua opposizione ai detenuti al 41 bis che ottengono la possibilità di usufruire, in tutta sicurezza, l’utilizzo della videochiamata con i propri familiari impossibilitati di effettuare colloqui in presenza. La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso del ministero della Giustizia guidato da Marta Cartabia in merito alla decisione del tribunale di sorveglianza.

Andiamo con ordine. Con ordinanza del 13 maggio scorso, il Tribunale di Roma ha accolto il reclamo proposto da Ferdinando Cimato, sottoposto al 41 bis, avverso al silenzio dell'Amministrazione penitenziaria, alla quale il detenuto aveva chiesto di sostenere un video colloquio e un colloquio aggiuntivo con i familiari residenti in Calabria sulla loro utenza telefonica privata, essendo divenuti impossibili i colloqui visivi in carcere a causa delle limitazioni agli spostamenti determinate dall'emergenza sanitaria da Covid- 19 all'epoca in atto. È accaduto che con l’ ordinanza del 7 maggio 2020, il Magistrato di sorveglianza di Viterbo aveva disatteso la richiesta di video colloquio, ritenendo esclusa simile modalità in quanto non prevista dalla legge, in considerazione della possibile presenza di terzi occulti durante i video colloqui a distanza, mentre aveva autorizzato il colloquio telefonico aggiuntivo del Cimato con i familiari, annullando in parte la disposizione della circolare Dap del 27/ 3/ 2020 che vietava il colloquio telefonico aggiuntivo ai minori.

Nell'impugnata ordinanza, il reclamo è stato ritenuto fondato nella parte in cui invoca la possibilità di sostenere un video colloquio a distanza: è stata quindi ammessa la modalità di colloquio, attraverso la piattaforma Skype for business, ogni qualvolta questo risulti l'unico strumento di esercizio del diritto al colloquio tra il detenuto e i familiari, quando vigono circostanze che rendono impossibile o gravemente difficoltoso il colloquio in presenza.

Ed ecco che il ministero della Giustizia non ci sta a tale decisione. Ha quindi proposto ricorso in Cassazione, deducendo violazione di legge in relazione agli articoli 35- bis, 41 bis e 69 dell’ordinamento penitenziario, per avere riconosciuto il diritto ai colloqui in video- collegamento a favore dei sottoposti al 41 bis, «indebitamente estendendo a tale categoria di detenuti la disciplina dettata per i ristretti in media e alta sicurezza, nonostante l'esclusione operata dall'Amministrazione penitenziaria, alla cui esclusiva discrezionalità è rimessa la relativa valutazione» .

In sostanza, il ministero della Giustizia sostiene che l'esclusione dei detenuti sottoposti al 41 bis dai colloqui in video- collegamento è in linea con la previsione dell'art. 221, comma 10, Citato Decreto legge, in quanto detta disposizione indica il ricorso al video- colloquio come una mera possibilità, evidentemente rimessa all'apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione, che deve continuare a considerare anche lo specifico profilo di pericolosità del singolo detenuto in relazione ai rischi - anche di eventuale intrusione informatica da parte di terzi - ai quali potrebbe dare luogo il colloquio a distanza.

Ma con la sentenza numero 8181, la Cassazione respinge il ricorso del ministero. Parte dal presupposto che quello ai colloqui sia un diritto imprescindibile e, come tale, riconosciuto anche ai detenuti sottoposti al 41 bis: i giudici sottolineano che in questi casi è tuttavia necessaria l'applicazione di alcune restrizioni, definite dallo stesso art. 41- bis, relative al numero ed alle modalità di svolgimento dei colloqui medesimi. Infatti, com’è noto, il detenuto ha diritto ad un colloquio al mese con i familiari e conviventi, da svolgersi in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, con obbligo di controllo auditivo e di registrazione, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente.

Le limitazioni sono giuste, ma la Cassazione sottolinea che hanno ragion d’essere «nella misura in cui siano effettivamente connesse a esigenze di ordine e sicurezza e che non siano, gestibili altrimenti, poiché, se così non fosse, avrebbero natura meramente ed ingiustamente afflittiva». Viene inoltre ricordato che la giurisprudenza della Cassazione stessa ha consolidato questo: «Nella circostanza in cui sia impossibile o, comunque, estremamente difficile eseguire i colloqui in presenza, coloro che sono sottoposti al regime penitenziario di cui all'art. 41- bis possono essere autorizzati dall'Amministrazione penitenziaria ad effettuare detti colloqui in modalità da remoto, mediante mezzi di comunicazione audiovisivi».

Infatti, com’è noto, il mezzo di comunicazione Skype for business, tecnicamente validato dal Servizio telematico penitenziario, dalla Direzione Generale del personale e delle risorse del Dap e dalla Dgsia, è perfettamente idoneo a garantire la regolarità e la sicurezza del colloquio. Non solo. La Cassazione censura il ricorso del ministero, anche nella parte dove spiega che con l’esaurirsi della situazione emergenziale sanitaria, non avrebbe più senso l’utilizzo della videochiamata. Prende in prestito l’osservazione del procuratore generale, ovvero che «la situazione pandemica è ancora in atto e vi sono perduranti ragioni prudenziali legate all'acuirsi dei contagi che sconsigliano di eliminare la possibilità dei colloqui da remoto».