A Maria Elisabetta Casellati si è perdonato il gesto di scaramanzia che l'ha lanciata in pasto all'aula con lo stesso tailleur blu del 24 marzo 2018, quando invece guadagnò il titolo di prima presidente donna del Senato. Un po’ meno le si è perdonata la pelliccia di ermellino, indossata chissà quando e ripescata a mezzo social per incorniciare quello schianto. Certo, la seconda carica dello Stato poteva forse risparmiarsi, come oggi tutti le rimproverano. Ma forse non poteva immaginare che il suo black friday si chiudesse con la formula “cerchiamo un’altra donna”. Purché “sia in gamba”. Una formula odiosa, diciamolo, che nel tentativo di prevenire l’altra protesta - “non basta che sia donna” - riesce a fare anche di peggio. Si è forse detto in questa folle epopea quirinalizia che il prossimo presidente dovesse essere almeno in gamba? Si è detto “alto profilo”, si è detto che di “eccellenze” - persino tra le donne - ne abbiamo in abbondanza. E si è detto che il centrodestra “sa promuovere le donne” meglio del centrosinistra. Ma ora che l’altra Elisabetta è stata risparmiata a un passo dalle urne, c'è il dubbio che la questione - da qualunque parte la si guardi - resti un affare di pellicce e giacche “a taglio asimmetrico”. Perché il dato politico è che nell’anno delle donne il sacrificio necessario è stato di una donna. E tutti amareggiati. Ma la verità è che il Mattarella bis dice dell’altro sul soffitto di cristallo che è crollato sotto i piedi della guardasigilli Marta Cartabia, per sua definizione. E la verità è che l’innovazione tanto invocata non può essere “promossa” a colpi di primati. E di titoli concessi come omaggio al genere. Bisogna credere che giochiamo nella stessa partita dei maschi pronti a fare un passo indietro pur di lasciare la squisita briciola a chi rimane sempre a bocca asciutta  -  quasi fosse una questione di galanteria. O almeno, per carità, fingere di credere che un’opzione donna sia mai esistita.