“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”: il principio menzionato trova il proprio fondamento nell’art. 25 della Costituzione ed è uno degli strumenti di cui l’ordinamento si avvale al fine di perseguire l’ideale dell’Organo Giudicante, terzo e imparziale, e che, concretamente, trova attuazione nelle norme relative alla competenza e alle linee guida dettate dal Consiglio Superiore della Magistratura in ordine ai criteri di attribuzione dei fascicoli, il cosiddetto sistema tabellare.

Tale sistema trova compimento con il R. D. 30 gennaio 1941, n. 12 e ha lo scopo di dettare criteri oggettivi e predeterminati al fine di individuare il Magistrato competente per la specifica controversia, sì da evitare che tali attribuzioni restino governate dalla discrezionalità dei singoli.

L’art. 7 bis del succitato Regio Decreto precisa che le tabelle vengono costituite dai singoli uffici, sulla base del decreto emanato ogni triennio dal ministro della Giustizia, in conformità delle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura, assunte sulle proposte dei presidenti delle Corti di appello e sentiti i Consigli giudiziari. L’art. 7 ter determina, invece, le regole di assegnazione ai singoli uffici, secondo criteri “oggettivi e predeterminati”.

L’ultima circolare emessa con delibera di plenum in data 23 luglio 2020 – per il triennio 2020/ 2022, eventualmente prorogabile ai sensi dell’art. 7 bis R. D. 30 gennaio 1941, n. 12 – al capo V, art. 157, dispone, altresì, che l’articolazione dei criteri di assegnazione degli affari spetta al Dirigente dell’ufficio, sotto sorveglianza del Presidente di sezione o del Magistrato che dirige ai sensi dell’art. 47 quater, R. D. 12/ 1941, per poi ribadire, al successivo articolo, che tali assegnazioni alle singole sezioni, Collegi e Giudici, debbano avvenire secondo criteri oggettivi e predeterminati.

Il compendio sull’attività di assegnazione degli affari agli Organi Giudicanti posto in premessa è doveroso e funzionale - tanto per chi scrive, quanto per il lettore - al fine di approcciarsi all’interessante intervista rilasciata su queste stesse pagine dal giudice Guido Salvini, Gip presso il Tribunale di Milano.

Il dottor Salvini, in particolare, ripercorre l’assai nota vicenda che aveva interessato l’Ufficio Gip nel caotico periodo di inizio anni '90, allorquando il Paese attraversava i violenti scandali originati dai fatti riconducibili agli episodi corruttivi che avevano interessato tutto il mondo politico: inchiesta “Mani pulite”.

Il dottor Salvini ricorda come l’allora Ufficio Gip e la Procura si accordarono per far sì che ogni singola vicenda legata a fatti di corruzione nella Pubblica Amministrazione fosse riconducibile al medesimo procedimento, rispondente al numero di registro 8655/1992. A quel fascicolo, pertanto, venivano ricollegate le vicende giudiziarie più disparate, anche senza che vi fosse alcun collegamento soggettivo e/ o oggettivo.

L’obiettivo perseguito era quello di affidare ad un singolo Magistrato, il dottor Italo Ghitti, tutte le posizioni processuali anche solo potenzialmente riconducibili alla più larga vicenda Mani pulite, sì da agevolare, come ovvio, l’attività della Procura. Meno Sezioni e Giudici differenti dell’Ufficio Gip conoscevano la vicenda e meno probabile era il rischio che vi fosse una disparità delle decisioni assunte.

In altre parole, il meccanismo ideato dalla Procura e dal pool, che allora seguì la vicenda, era quella di accentrare tutti gli affari su una singola figura, già nota all’Ufficio di Procura, nonché in un unico fascicolo, estendibile a piacere, al punto che, allora, l’Ufficio Gip del Tribunale di Milano si vide assegnare fascicoli su cui non poteva vantare nemmeno la competenza territoriale. Alla luce dell’allora normativa – non troppo dissimile dall’attuale – non può non evidenziarsi come venne posta in essere una complessa violazione del principio posto in apertura del presente articolo.

Pur comprendendo le ragioni del pool operante alle indagini - le vicende che allora investirono il Paese richiesero uno sforzo immenso della macchina giudiziaria - non si può non rilevare come i criteri dettati dal R. D. 21/ 1942, in attuazione del principio ex art. 25 Cost., vennero completamente e sistematicamente disapplicati dall’Ufficio Gip del Tribunale di Milano, forse per un più alto scopo.

Risulta quasi superfluo, a parere di chi scrive, evidenziare come un accordo tacito tra la Magistratura Inquirente e Giudicante, sia lesivo del principio di imparzialità e terzietà del Giudice, così come lesivo appare l’aggiudicazione di ogni singolo fascicolo non sulla base di criteri predeterminati ed oggettivi, ma per una mera questione di comodo.

Con ciò non si vuol certo dire che il dottor Ghitti allora non svolse un lavoro che, si è di questo certi, avvenne nel massimo rispetto del dettato costituzionale e della Legge; tuttavia, non si può certamente sottacere come meccanismi procedurali posti a tutela del principio di imparzialità e terzietà vennero adattati alla necessità. Proprio su questa necessità è il caso di riflettere se fosse proprio indispensabile o, quantomeno, perfettibile con correttivi quali quelli di individuare una squadra di magistrati da applicare ai noti fatti.