UNO. Ormai da tempo studiosi ed esperti nelle loro analisi distinguono con nettezza la “condizione di sicurezza” di un paese, che misurano sulla base di dati oggettivi e verificabili, dalla “percezione di sicurezza” che ne hanno i suoi abitanti. Per esempio in Italia in pochi, se interrogati, si rendono conto di vivere in uno dei paesi più sicuri del mondo grazie ad una drastica riduzione dei reati più gravi che si consumavano nel Belpaese nei decenni scorsi. Questa tendenza, in Italia più accentuata rispetto ad altri luoghi, si colloca all’interno di un processo mondiale che negli anni scorsi il sociologo Pino Arlacchi, il teorico di “mafia imprenditrice”, intervistato dal Corsera, ha spiegato e definito di “ingentilimento progressivo del Pianeta”. In Italia tutti i reati, o quasi, a cominciare da quelli più gravi e devastanti, sono clamorosamente precipitati. Nel 2017, anno per il quale c’è un dato certo grazie allo svolgimento definitivo di indagini e processi, gli omicidi sono stati 368. Un numero inaccettabile per i luoghi avanzati della coscienza civile del nostro presente storico. Ma niente di paragonabile neanche lontanamente ai 1938 ammazzati nell’anno 1991. Ed è straordinaria la circostanza che da allora in Italia abbiamo iniziato a scendere sempre di più e sempre più rapidamente. Ovviamente, la contrazione progressiva, talvolta addirittura precipitosa, del più grave inquietante e inaccettabile dei reati, è connessa ai colpi subiti dalle organizzazioni criminali in Italia a cominciare da Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra che sono state drasticamente ridimensionate nella loro furia omicida. Insomma, siamo stati bravi anche a farci spingere dai sacrifici e dal sangue di forze dell’ordine, magistrati, uomini di giustizia, uomini e donne di buona volontà. Nel 2020 anno della pandemia, atteso con grandi paure  e preoccupazioni per la fosca previsione dello scatenarsi di istinti incontrollabili, gli omicidi complessivi (dato provvisorio) sono crollati a 271, tra questi e in crescita, 112 femminicidi e, secondo il trend degli ultimi anni, 28 attribuiti alle mafie. Si può fare di più e meglio. Ma intanto, sulla base dei dati odierni verificabili (la “condizione di sicurezza” di un paese) l’Italia è una delle nazioni più sicure del pianeta. Anche il paragone tra l’Italia e gli altri paesi europei (e l’Europa sulla base dei dati è il continente più sicuro del mondo) mostra insospettabili successi dell’Italia. I paesi, secondo le convenzioni sociologiche internazionali, vengono confrontati rapportando il numero degli omicidi annui a ogni 100mila abitanti. L’Italia è allo 0,6 (cioè registra in media poco più di mezzo omicidio ogni 100mila abitanti). In Europa ci superano in virtù soltanto Lussemburgo, Repubblica Ceca e Cipro. Virtuosi quasi quanto noi sono invece Spagna, Portogallo, Grecia e Austria. Un po’ più indietro ancora, Olanda e Polonia. Abbiamo la migliore performance, cioè registriamo un tasso più basso di omicidi, rispetto a Francia (1,3), Regno Unito (1,2) Germania (1,3). Solo il Giappone (0,3) è più virtuoso di noi tra le nazioni del G8. E nel mondo, Europa a parte, solo la Cina registra l’identico 06 italiano. Impossibile il paragone col 5,3 americano (ogni cittadino di quel paese rischia dieci volte di più di un italiano, di morire ammazzato) o il 9,2 della Russia. Per non dire del 30,5 brasiliano o del 35,9 del Sudafrica. Ma tornando alla “condizione di sicurezza” del paese, bisogna subito ragionare sul fatto che gli omicidi non sono tutti uguali. Ci sono quelli degli uomini (omicidi) e quelli delle donne (femminicidi) e qui l’ingentilimento progressivo del pianeta sembra essersi bloccato. Infatti in Italia gli uomini ammazzati diminuiscono mentre le donne uccise aumentano. In realtà, la drastica contrazione registrata nel trentennio che abbiamo alle spalle è interamente dovuta alla riduzione complessiva degli omicidi degli uomini (a partire dalle vertiginose quote degli omicidi di mafia) mentre è rimasta costante o è addirittura lievitata la quota dei femminicidi e delle donne uccise in ambito familiare e affettivo. Non è quindi infondata la conclusione che la più urgente emergenza italiana da affrontare, non sia più ormai a tempo quella mafiosa ma quella del femminicidio. Chiarificatrice la valutazione di Salvatore Lupo, forse lo storico italiano più autorevole rispetto alle mafie, che intervistato nei giorni scorsi da Errico Novi per questo giornale, ha osservato che “La violenza delle cosche è stata innanzitutto inframafiosa, e sappiamo come oggi l’incidenza degli omicidi legati al crimine organizzato sia diminuita nettamente: ora parliamo dei femminicidi, cioè di delitti legati a dinamiche sociali e sottoculturali”. DUE. Se questo è il quadro che emerge dalla “situazione di sicurezza” del paese si rafforza la legittimità di una domanda. Serve ancora la Commissione nazionale antimafia, istituita per la prima volta nel nostro paese nel 1963 per una legislatura, e da allora rinnovata puntualmente, con una nuova legge a ogni inizio di nuova legislatura? L’interrogativo è antico, anzi vecchio, come sanno quanti hanno letto o studiato un classico sociologico di dimensione mondiale come La mafia Siciliana di Diego Gambetta (1992). Il sociologo che ha costruito la teoria della mafia come “industria della protezione privata” di attività illegali (forse l’unico schema imperniato su una lettura del fenomeno mafioso scardinato da ogni suggestione antropologica e quindi razzista), nell’introduzione del ’93 (per Einaudi Tascabili, firmata da Oxford dove Gambetta lavorava in quella università), annotava: “In passato l’apporto della Commissione non fu privo di ambiguità…”. Per poi concludere: “Si ha l’impressione che questo istituto – di cui pure fecero parte Cesare Terranova e Pio La Torre, che hanno pagato con la vita la lotta alla mafia (fatta nella società reale e non, ovviamente, nella Commissione, ndr) - sia servito come una palestra in cui le forze al governo permettevano all’opposizione di sinistra di menare pugni antimafia purché rigorosamente nel vuoto”. E tralascio, perché non bisogna mai esagerare, le considerazioni e le ironie dirette o indirette sull’Antimafia sparse negli scritti e negli interventi di Giovanni Falcone. L’impietoso giudizio di Gambetta a trent’anni dall’istituzione della prima Antimafia appare oggi, passati altri trent’anni, educato e generoso rispetto a quanto è nel frattempo accaduto a quell’istituto. In realtà, l’esperienza dell’Antimafia, se si esclude il periodo, peraltro molto discusso e criticato in cui fu presieduta da Luciano Violante (uno dei pochi o forse l’unico magistrato a dimettersi dalla magistratura quando venne eletto in Parlamento), si ritrova per intero nella sferzante valutazione di Gambetta. Ma trent’anni dopo di allora (cioè 58 anni dall’inizio di questa vicenda, un periodo storico troppo lungo per non capire che tutto nel frattempo è cambiato) la Commissione sembra avere assunto una funzione ancora più inutile e priva di prestigio. Non servono infatti particolari ricerche specialistiche per verificare che l’Antimafia si è via via trasformata in una specie di ricovero per personaggi politici decaduti o emarginati, lì confinati perché sconfitti nello scontro politico interno al proprio partito, o perché considerati inadatti allo svolgimento di ruoli di rilievo e responsabilità. Senza voler mancare di rispetto ad alcuno dei presidenti degli ultimi anni, il loro succedersi alla guida della Commissione, via via sempre più degradata politicamente, racconta quel che è accaduto in modo impietoso. Il ministro dell’Interno senatore Pisanu (Fi) cade in bassa fortuna dopo le elezioni del 2013 nel suo partito per la strisciante e sottintesa accusa di aver malgestito le elezioni? Forza Italia lo marginalizza facendolo eleggere Presidente dell’Antimafia. Rosy Bindi, già ministra della Repubblica,  viene rieletta alla Camera nelle liste Pd nonostante la guerra che le muove contro l’allora potente Matteo Renzi? Per lei niente ministero o ritorno al governo: si accontenti della presidenza dell’Antimafia. In passato, la Rifondazione comunista di Bertinotti, quando si era ormai appassita facendo tutti i guai possibili, non contava nulla ma aveva ancora voti utili alla Camera e in Senato? Il centrosinistra le rifila la presidenza dell’Antimafia. E ancora oggi: il pentastellato Morra è stato considerato dai capi dei 5s (chissà perché e forse ingiustamente, ma non lo sapremo mai) inadatto al ruolo  di ministro, specie dell’istruzione, come avrebbe preferito? Anche lui Presidente Antimafia dove il Pentastellato, qualche dichiarazione a parte, non può fare danni. Ci sono giornali che ad ogni inizio di legislatura parlamentare pubblicano articoli (cambiando solo la data) per chiedere che si metta fine al cinismo che usa l’Antimafia per coprire qualche buco. Sempre inutilmente. A Roma un posto in più (con tutti i connessi) fa bene alla maggioranza, e anche all’opposizione. L’Antimafia serve a concedere ad un parlamentare che ha peso, ma meno peso di tutti gli altri parlamentari che hanno peso, il titolo di Presidente e, insieme al titolo, tutte le prebende annesse e connesse: supplemento di stipendio, autista, struttura e staff nei fatti alle dipendenze del Presidente per aiutarlo a far meglio il suo (in questo caso inutile) lavoro. Lo sanno tutti che le cose stanno così. Compresi i parlamentari che alla fine accettano di farsi nominare perché un titolo, l'autista, un aumento sia pur modesto dello stipendio, uno staff di persone è sempre meglio di un calcio negli stinchi.