«L’errore italiano è stato quello di dire sempre: “Aspettiamo le sentenze”. Se invito a cena il mio vicino di casa e lo vedo uscire con la mia argenteria nelle tasche, non devo aspettare la sentenza della Cassazione per non invitarlo di nuovo» (Camillo Davigo). Anno domini 2019, quattro giugno: il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura ha dato il triste annuncio che la Magistratura Ordinaria è invischiata, ai più alti livelli, «nei giochi di potere e nei traffici venali». Egli ha parlato pudicamente di «ferita profonda alla magistratura e al Consiglio Superiore. Profonda e dolorosa», ma i Giuristi, gli Avvocati, i Magistrati e soprattutto l’Utente finale della Giustizia ne hanno amaramente constatato il decesso. L’illegalità diffusa e socialmente accettata ha infine agito come il Covid; che si de-bella soltanto se s’intervenga prima che diventi endemico, ché altrimenti può risultare inarrestabile e contagiare perfino …infermieri e medici, diventando irreversibile pandemia. In realtà il temibile virus si è realmente materializzato nella forma del trojan. Proprio esso, ‘inoculato’ nel telefonino usato da un magistrato protagonista principale della triste vicenda, il dott. L. Palamara, ne ha consentita l’irrefutabile emersione. Quale allora la vera causa mortis? La Giustizia si è spenta come una fiamma ormai troppo flebile nel vortice di ‘(e)venti’ burrascosi. Ben vero, dopo l’adesione popolare all’operazione “Mani Pulite” (fin troppo mediaticamente esibita), gli italiani sono stati scientificamente ‘bombardati’ da una strategia comunicativa che, in massima parte, ha preso di mira sia i Magistrati, sia e soprattutto la Magistratura in sé e per sé, in quanto istituzione di garanzia democratica, e non soltanto per gli errori che (ovviamente) poteva avere commesso, come sarebbe stato auspicabile. Nessuno ebbe il coraggio – o la forza – di opporre che le fragilità della Magistratura, e soprattutto i gravissimi ritardi della sua risposta, erano subiti dai cittadini e dai Magistrati stessi, ma erano soprattutto funzionali al sistema di potere dominante, al pari della dilagante e irrefrenabile illegalità sistemica. Poiché le lungaggini dei processi erano oggettivamente insostenibili, anche i giudici accettarono perfino di preferire la celeritas alla iustitia e di avallare riforme volte a contenere la ‘domanda’ di giustizia, dimenticando che la Giustizia non ‘produce’... frigoriferi, ma decisioni rese in nome dell’Utente finale (che ha diritto a una decisione meditata e convincente, oltre che solerte); così addossandosi anche gli inevitabili errori. Inoltre, confondendo la malattia (il nichilismo imperante, la crisi della verità, della legalità e della democrazia) con i suoi sintomi (la crisi della Giurisdizione e della Cassazione), perfino la Suprema Corte ha con successo propugnato riforme civilistiche intese a velocizzare la risposta giudiziaria a ...qualunque costo, e perciò in scontato pregiudizio dei valori (non solo simbolici, ma) fondanti del processo. Il risultato è stato disastroso: la Giustizia lenta è stata sostituita dalla Ingiustizia ...altrettanto lenta. Ma il vero colpo di grazia fu inferto alla Magistratura negli anni 2014-2018. Appena insediatosi (nel febbraio 2014), il Governo scompaginò l’intera struttura giudiziaria (anche) ordinaria, collocando a riposo i magistrati ultrasettantenni (che mai avevano aspirato a essere anzitempo collocati in quiescenza), con eccezione (arbitrariamente personalizzata) dei soli livelli apicali della Suprema Corte. Per conseguenza, al fine di sostituire i magistrati uscenti (soprattutto direttivi e semidirettivi), al neo eletto Consiglio Superiore della Magistratura (insediatosi nel settembre 2014) fu affidato il compito di creare la nuova classe dirigente della magistratura ordinaria: una vasta ‘prateria’ in cui sarebbe stato agevole scorrazzare per le correnti della magistratura, tra cui spiccava il neoeletto dott. Palamara, e per i consiglieri laici appena eletti, sol che lo volessero concordemente. Sul ‘Potere’ non si litiga, se e finché... ce ne sia per tutti. È il sistema spartitorio, come lo ha chiamato Giuliano Amato studiandolo in sede dommatica, ed è proprio quello su cui l’imperturbabile ex giudice Palamara, rivendicandolo e vantandosene, ha addirittura scritto un panegirico. Applicato alle correnti dell’A.N.M., il Sistema Palamara è biecamente clientelare: «tu magistrato mi voti, prima per dirigere l’associazione e poi come membro del Consiglio Superiore della Magistratura, e io ti ripago assecondando le tue ambizioni di accedere immeritatamente alle funzioni semidirettive o direttive!». Ed è sia incostituzionale, perché l’art. 97, 4° Cost. prescrive non la raccomandazione o la cooptazione, ma il legittimo concorso per l’accesso alle cariche pubbliche; sia illecito dal punto di vista civile, amministrativo, disciplinare e penale, giacché impedisce ai giudici più meritevoli di accedere alla direzione degli uffici giudiziari, tradendo quindi le giuste attese dell’Utente finale della Giustizia. Da tempo molti magistrati si fanno sedurre dal Potere: già l’art. 10 della L. 24 luglio 1908 (Riforma Orlando) prescriveva che «I magistrati debbono scrupolosamente astenersi dal ricorrere a raccomandazioni per appoggiare o sollecitare interessi di carriera, presso i membri del Governo o presso le persone da cui tali interessi dipendono, ed è loro vietato in special modo di ricorrere per tale scopo a persone appartenenti all'ordine forense». Oggi la raccomandazione carrieristica tra magistrati, espressamente bandita dallo Statuto dell’A.N.M. e dal Codice etico (imperativo anche per i magistrati non associati), costituisce non solo illecito disciplinare ma anche delitto, tentato o consumato (artt. 110 e 323 c.p.). E tali documentati abusi d’ufficio sono tanti, pubblicati a puntate dai quotidiani, raccolti in volumi di grande successo editoriale, acquisiti dalle Procure, dall’A.N.M. e dal C.S.M.! Purtroppo l’ordinamento non si è ripiegato su sé stesso per sanzionare, insieme al «Grande mediatore» (bandito dalla Magistratura per altri misfatti), i tanti magistrati che ot-tenevano da lui vantaggi e privilegi, in danno dei meritevoli. Dopo due anni nessuno si è mosso. Non si sono attivate le Procure competenti. Il P.G. presso la Suprema Corte, sebbene obbligato ad esperire l’azione disciplinare quando il cittadino o il suo avvocato segnalano abusi dei giudici, ha addirittura giustificato ufficialmente le autopromozioni (raccomandato >raccomandante). Ma non si può sapere se egli abbia archiviato anche le eteropromozioni (raccomandato >raccomandante >raccomandatario), giacché ha proclamato subito il proprio potere di impedire la conoscenza delle archiviazioni al cittadino denunciante (ovvero al suo avvocato) e perfino al C.S.M.! Dimenticando così che «La luce del sole è il miglior disinfettante». Del tutto inerte è rimasto perfino il Ministro della Giustizia sebbene, dotato com’è di un apposito Ufficio Ispettivo, sia titolare del potere di azione disciplinare (art. 107, 2° Cost.), proprio per sopperire all’inazione dei requirenti oltre che della Procura Generale della Cassazione. E difatti nella polemica politica le raccomandazioni anzidette valgono a gettare meritato discredito sulla magistratura, trascurando però che le forze di governo indiretta-mente le avallano, non attivando il rimedio saggiamente previsto dalla Costituzione. E tra-scurando altresì che i favori accordati da Palamara venivano decisi dal C.S.M, i cui componenti, per un terzo, sono eletti dal Parlamento. In conclusione il degrado della Magistratura costituisce uno straordinario esempio di eterogenesi dei fini. Il ‘risveglio’ della Magistratura ambrosiana nella repressione della ‘corruzione ambientale’, ha comportato infine – attraverso perscrutabilissime «astuzie della ragione» (il forzato esodo dei magistrati) - la capitolazione dello stesso ideale di Giustizia, infine imbarbarito dalla ‘raccomandazione correntizia’: tale probabilmente il triste bilancio storico dell’operazione «Mani Pulite», ora schiacciata mediaticamente dallo scandalo delle «Toghe Sporche». Forse una Magistratura prostrata, non ‘curata’ né ...’vaccinata’ fa comodo a molti, ma certamente non all’Utente finale della Giustizia, l’unico a subirne le conseguenze. Per questa ragione - richiamando il noto monito del dott. Davigo - da due anni invano «aspettiamo le sentenze», che almeno questa volta soltanto i magistrati possono emettere! *Rosario Russo è stato Sostituto procuratore generale presso la Suprema Corte