«Chi si è avvalso della facoltà di non rispondere non dovrà essere penalizzato ai fini del risarcimento, in caso di assoluzione, per l’ingiusta detenzione eventualmente patita». A ricordarlo al Dubbio è Alessio Lanzi, componente laico del Csm che questa settimana ha proposto in plenum un emendamento sul punto, poi approvato, al parere sul decreto legislativo che recepisce la direttiva europea sulla presunzione d’innocenza. «Il diritto al silenzio era già previsto dal nostro ordinamento. Il ‘ problema’ era un consolidato orientamento giurisprudenziale al riguardo che escludeva dall’equa riparazione chi si fosse avvalso di tale diritto», prosegue Lanzi. «Una inversione logica e metodologia, con il legislatore di fatto ‘ condizionato’ dalla giurisprudenza», aggiunge il professore milanese di Diritto penale.

I motivi alla base di questi risarcimenti negati sono previsti dal codice di procedura penale all’articolo 314, che esclude il risarcimento per chi ha causato o contribuito a causare la propria detenzione con “dolo o colpa grave”. «Il 77 per cento di chi, arrestato ingiustamente, chiede l’indennizzo non lo ottiene proprio perché avrebbe ' concorso con dolo o colpa grave all’errore del magistrato'», ricorda il deputato di Azione Enrico Costa, componente della commissione Giustizia della Camera, da sempre sensibile su questo argomento. «L’esercizio di un diritto, come appunto quello al silenzio, non può ritorcersi contro chi lo ha fatto valere, e non può essere letto come una ' colpa grave'», aggiunge quindi il responsabile Giustizia di Azione.

Ma oltre a questo aspetto, la direttiva in materia di presunzione di innocenza, la numero 343 del 2016, dovrebbe porre un freno alla pratica delle conferenze stampa degli inquirenti in cui l'accusato viene presentato alla stregua di un colpevole conclamato. Questa direttiva, come capita spesso, era rimasta nel cassetto per anni. Il solito spauracchio dell'apertura di una procedura di infrazione di Bruxelles nei confronti dell’Italia ha allora indotto il governo ad accelerare sul suo recepimento.

Alla base della direttiva vi è l’idea che preservare l’incolpato dall’accanimento mediatico non lede il diritto all’informazione. Il decreto legislativo del governo, sul quale la ministra della Giustizia ha chiesto il parere approvato questa settimana a larga maggioranza dal plenum del Csm, ha però recepito in modo attenuato alcune parti della direttiva. Nel testo originale era prevista “l’eccezionalità della divulgazione di notizie concernenti i procedimenti penali, limitandola ai casi in cui l’informazione sia strettamente necessaria all’indagine penale, alla sicurezza pubblica o alla prevenzione di turbative dell’ordine pubblico». Le disposizioni contenute nel decreto legislativo, invece, prevedono che il pm nei rapporti con gli organi di informazione possa ricorrere alle conferenze stampa nei casi di particolare «rilevanza pubblica dei fatti».

Un concetto, quello delle «rilevanza pubblica dei fatti», alquanto vago e rimesso dunque all’apprezzamento esclusivo del procuratore, con tutte le conseguenze del caso. Su questa parte si segnalano le criticità dei pm antimafia Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita. Il primo, in particolare, dove aver dichiarato in Plenum che si tratta di una "norma bavaglio", ha affermato che le stesse interviste di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone a proposito di Cosa nostra sarebbero state passibili di illecito disciplinare da parte del Csm. Per Di Matteo si tratta di disposizioni che presentano ' numerose ricadute molto negative sul piano delle praticità”.

"Nei fatti la politica con un sottile lavoro di limatura l'ha trasformato in un bavaglio soprattutto per i pubblici ministeri, lasciando liberi di dire praticamente tutto quello che ritengono opportuno le parti private come gli avvocati difensori, gli imputati stessi o i rispettivi parenti", si legge in un post pubblicato ieri da Ardita sulla sua pagina Facebook a proposito di questo ddl del governo sulla presunzione d'innocenza.