La guerra tra Ue e Polonia raggiunge anche il Consiglio superiore della magistratura italiano. Che dopo aver votato sì, nei giorni scorsi, all’esclusione dell’omologo organo polacco (Krs) dalla rete dei Csm europei, è finito nel mirino, con tanto di minacce, indirizzate al laico Filippo Donati, presidente dell’Encj, la Rete europea dei Consigli di Giustizia. Le intimidazioni sono «arrivate per posta elettronica», dopo l’assemblea del 28 ottobre scorso a Vilnius, che ha sancito l’esclusione del Krs dall’Encj. A rendere noto il fatto è stato il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini, durante il plenum di ieri. «Sulla via del ritorno da Vilnius - ha detto Ermini - è stato oggetto di intimidazioni arrivate per posta elettronica. L’autorità giudiziaria è stata avvisata». L’espulsione si basa sul mancato rispetto, da parte del Krs, della «norma dell’Encj che tutela l’indipendenza della magistratura di fronte a qualsiasi misura che minaccia di compromettere i valori fondamentali di indipendenza e autonomia», soprattutto rispetto al potere esecutivo. A fare da sfondo alla vicenda, il braccio di ferro ormai infinito tra Unione europea e Polonia. Quest'ultima, insieme all’Ungheria, è infatti sotto indagine formale per non aver rispettato lo Stato di diritto e rischia, ora, di perdere i fondi del Next generation Eu sulla base del meccanismo di condizionalità. Varsavia e Budapest, a marzo, hanno adito la Corte di giustizia, chiedendo la totale abrogazione del nuovo sistema e sostenendo che l'Ue dovrebbe attenersi alle disposizioni dei trattati per monitorare il rispetto dello Stato di diritto. La Corte dovrà ora stabilire se le norme dei due Paesi siano o meno in linea con i trattati europei, sentenza che potrebbe arrivare l'anno prossimo. Tra le criticità più evidenti contestate alla Polonia c’è proprio quella relativa al sistema giudiziario. L’Ue ha infatti criticato l’eccessiva influenza esercitata dal potere esecutivo sulla magistratura, a partire dall’istituzione, nel 2017, della Sezione disciplinare della Corte suprema, voluta dal partito di estrema destra al governo. Tale organismo è deputato alle indagini sugli errori giudiziari dei magistrati, ma col potere di punire, con la multa o con il licenziamento, i giudici che criticano le riforme giudiziarie e le nomine di cariche pubbliche. Quest’estate, la Corte di giustizia dell’Unione ha emesso un ordine provvisorio per bloccane le attività, decisione contro la quale si è opposta la Corte costituzionale polacca, secondo cui la Corte europea non avrebbe alcun potere per prendere una decisione del genere. Nella sua sentenza del 7 ottobre, il Tribunale polacco ha così sancito il principio della primazia della Costituzione nazionale sul diritto dell’Unione. Il che vuol dire che i trattati dell’Ue, in quanto atti di diritto internazionale, hanno la precedenza sul diritto nazionale di rango statutario, ma non possono avere il primato sulla Costituzione. Il 21 ottobre, il Parlamento europeo ha disconosciuto la validità giuridica e l’indipendenza del Tribunale costituzionale polacco, considerandolo privo delle qualifiche per interpretare la Costituzione in Polonia. Da qui l’avvio delle procedure di infrazione, con l’attuazione del regime di condizionalità che lega la concessione dei fondi al rispetto dello Stato di diritto. Secondo l’Ue, infatti, la sentenza della Corte costituzionale polacca rappresenta «un attacco alla comunità europea di valori e leggi nel suo complesso che compromette il primato del diritto dell'Ue come uno dei suoi principi fondamentali».