Il professor Bartolomeo Romano, Ordinario di Diritto penale dell'Università di Palermo, è uno dei massimi esperti in Italia del reato di abuso di ufficio. Quest'anno per Pacini Editore ha curato il volume 'Il “nuovo” abuso di ufficio' e tra pochi giorni sarà in libreria per la stessa casa editrice con 'La riforma Cartabia - La prescrizione, l'improcedibilità e le altre norme immediatamente precettive' curato con la professoressa Antonella Marandola. Con lui commentiamo i disegni di legge ora in discussione al Senato.

Professore quali sono le attuali criticità della normativa sull'abuso d'ufficio?

Storicamente il problema più evidente dell'abuso di ufficio è la sua indeterminatezza e la sua mancanza di precisione nel definire le condotte punibili. È un problema che si porta dietro dal 1930 ad oggi. Com'è noto la norma ha subìto una serie di modifiche (1990, 1997, 2012, 2020) segnate dal tentativo ciclico di precisare i connotati della condotta punibile. Tutte queste riforme hanno fallito nel loro intento. Il vero problema è il seguente: stiamo arrivando - ma ciò non riguarda solo l'abuso di ufficio ma anche altre ipotesi, come, ad esempio, il traffico di influenze - a un diritto penale dell'atipicità e della indeterminatezza. Ciò contrasta con i canoni dell'articolo 25 della Costituzione e finisce per scaricare il compito di definire il contorno delle condotte punibili sulla magistratura, soprattutto requirente. Si tratta di una tendenza purtroppo ripetuta: persino nella recente riforma Cartabia il tema della improcedibilità è segnato negativamente da una eccessiva discrezionalità data ai giudici che possono avallare proroghe su proroghe in base ad una loro valutazione sostanzialmente incontrollabile.

In questo contesto si colloca la cosiddetta “paura della firma”.

Esatto. A causa di questa indeterminatezza e con questa elasticità della norma penale incriminatrice si è ingenerato com'è noto il fenomeno della “paura della firma” da parte degli appartenenti alla Pubblica Amministrazione (Pa), che si inquadra nel meccanismo perverso della burocrazia difensiva: pur di non firmare, i burocrati si fanno legare le mani dietro la schiena. Questo comporta un immobilismo della Pa che si riflette in un immobilismo del Paese. Tanto più in tempi di crisi economica e di ripartenza, che la Pa freni le proprie attività e quelle dei cittadini per paura di prendere qualsiasi iniziativa non è una cosa positiva. Si trasforma la responsabilità penale in una vera e propria responsabilità di posizione, per cui si risponde di un reato semplicemente perché si ricopre una determinata funzione, quasi a titolo di responsabilità oggettiva. Questo è inaccettabile. Vorrei chiarire un punto.

Prego.

A partire almeno dal 1992 sembra quasi che il vero problema, prevalente se non esclusivo, sia quello del contrasto alla corruzione e al malaffare. Si tratta chiaramente di una preoccupazione seria che merita di essere considerata. Tuttavia, probabilmente, facendo ciò, ossia spostando tutto solo sul versante della repressione penale, si è trascurato l'altro aspetto della questione, non meno importante, anzi: l'efficienza della Pa. Una buona amministrazione richiede un minimo intervento penale, una pessima amministrazione finisce per richiedere un invasivo intervento penale, che però si rivela sterile perché non rende più efficiente il sistema.

In questo senso, allora sarà d'accordo con la proposta del leghista Ostellari che vuole eliminare quasi del tutto il vaglio del Giudice penale sui provvedimenti amministrativi.

Parzialmente d'accordo. La mia opinione è che l'abuso d'ufficio finisca per essere una norma inutile se non dannosa. Questo tecnicamente emerge dal fatto che lo stesso legislatore si rende conto che molto probabilmente l'abuso d'ufficio si sovrappone ad altre fattispecie di reato più gravi. La clausola di riserva che c'è nell'articolo 323 c.p. ("salvo che il fatto non costituisca più grave reato") è una chiara presa di coscienza che questo articolo nella gran parte dei casi non si può applicare perché esiste una fattispecie incriminatrice più grave. Forse sarebbe stato meglio prendere fino in fondo coscienza di questa situazione per arrivare ad abrogare l'articolo 323 c.p.. Ciò non significa che le condotte più gravi diverrebbero penalmente irrilevanti, anzi sarebbero più facilmente incanalate in norme penali già esistenti, quali la corruzione, la concussione o il peculato.

Qual è invece il suo parere sulla proposta del dem Parrini?

Fare una riforma esclusivamente a favore dei sindaci rischia di essere letta come una azione della politica che difende soltanto i politici. E poi, perché pensare solo ai sindaci e non, ad esempio, ai presidenti di Regione? E i responsabili di organismi pubblici, come Asl e Università, dobbiamo abbandonarli al loro destino? E in generale, perché non fare una norma che riguardi tutti i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio? Non vorrei che si salvi il sindaco e si abbandonino i funzionari del Comune. Così la riforma sarebbe inutile, perché la 'paura della firma' si trasferirebbe dal primo cittadino ai dirigenti comunali. E se questi ultimi non firmano, siamo al punto di partenza. Quindi la criticità della proposta di Parrini è proprio nel fatto che guarda soltanto i sindaci.

E cosa mi dice del ddl del grillino Santangelo?

Anche questo ha il difetto di fondo di riferirsi solo al sindaco. Ma l'aspetto più critico di questa proposta è che non si occupa per nulla dell'art. 323 c.p., ma solo di responsabilità omissive relative ad altre fattispecie.

Ultima domanda: Lega e Partito Radicale hanno raccolto le firme per 6 referendum, uno dei quali cancella la Severino. Qual è il suo giudizio?

Noi abbiamo vissuto un lungo periodo, che ha una sua data di nascita probabilmente nella vicenda di Mani Pulite, in cui a poco a poco abbiamo visto rincorrersi una schiera di soggetti che volevano autoqualificarsi come puri, più puri dei puri. C'è stata una cascata di leggi illiberali e liberticide, tra cui buona parte della Legge Severino. Essa contrasta con i principi del giusto processo e della presunzione di non colpevolezza e in qualche modo interferisce con la libera scelta dei cittadini verso i loro candidati, investiti da vicende penali ancora non concluse.