Con la sentenza 24 agosto 2021, n. 2473, la Terza Sezione del Tar Palermo conferma il proprio orientamento sull’accessibilità della società civile ai luoghi di trattenimento dei migranti, accogliendo il ricorso avverso il diniego del ministro dell’Interno e della Prefettura di Agrigento alla richiesta di accesso di una propria delegazione all’hotspot di Lampedusa.

Ne dà notizia l’Asgi stessa, evidenziando che il Tar, sulla base del proprio precedente e dopo due pronunce cautelari favorevoli, ha riaffermato la ratio delle previsioni normative in materia, precisando che, in particolare, l’art. 7, commi 2 e 3 del D. lgs. n. 142/ 2015, mira a consentire l’accesso degli enti di tutela alle strutture in cui il richiedente può essere trattenuto, tra le quali rientrano senza dubbio i centri di cui all’art. 10 ter del D. lgs. n. 286/ 1998, cioè gli hotspot ( come, peraltro, espressamente previsto dall’art. 6, comma 3 bis del D. lgs. n. 142/ 2015).

Si tratta, secondo l’Asgi, di una pronuncia particolarmente importante, non solo perché consolida un orientamento giurisprudenziale e afferma, indiscutibilmente, la qualifica dell’associazione quale ente esponenziale di tutela dei richiedenti e titolari di protezione internazionale, ma soprattutto perché, attraverso un’accurata disamina della normativa europea e nazionale, definisce con chiarezza l’importanza sia del contatto tra cittadini stranieri trattenuti e tali enti, sia della trasparenza dell’agire amministrativo.

Dunque, non è legittimo che i centri di trattenimento ( non soltanto i centri di permanenza per il rimpatrio – Cpr, ma anche altri luoghi destinati materialmente alla detenzione amministrativa, come, nel caso di specie, gli hotspot) siano luoghi impermeabili al mondo esterno. Né tantomeno è ammissibile che l’accesso sia limitato a organismi istituzionali ( Unncr, Oimeaso, nonché il Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale) o ad associazioni con cui l’amministrazione abbia stipulato specifici accordi, sulla base di disposizioni di carattere amministrativo ( si vedano, le Procedure Operative Standard – cd. Sop– redatte dal ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione e Dipartimento della Pubblica Sicurezza). È, prima di tutto, lo status di ente di tutela che legittima l’accesso, non essendo chiamata l’amministrazione a indagare sugli specifici motivi dell’accesso, né potendo scegliere i propri esclusivi interlocutori.

Su quest’ultimo punto, il Tar accoglie pienamente le difese di Asgi, affermando che «limitare il diritto di accesso alle sole organizzazioni internazionali, ovvero a quelle con cui il ministero abbia stipulato specifici accordi, integrerebbe un’ingiustificata elusione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa condotta all’interno dei luoghi di trattenimento dei migranti».

Tale declinazione del principio di accessibilità ( come affermato principalmente dall’art. 7 del D. lgs. n. 142/ 2015) non può essere recessiva rispetto a motivazioni generiche ( apparenti, come definite dal Tar) di ordine pubblico o sicurezza ( oggi anche sanitaria), che, al più, possono differire l’accesso ai centri di trattenimento ( e agli hotspot), ma non escluderlo in assoluto. È sempre compito dell’amministrazione contemperare eventuali ragioni ostative all’accesso con il diritto delle persone trattenute di mettersi in contatto con gli enti di tutela.

Ed è per tale motivo che - sempre secondo Asgi - la sentenza pone anche un particolare accento sul procedimento, affermando ancora una volta l’importanza della comunicazione di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/ 1990 ( il preavviso di rigetto), attraverso cui al privato è consentita la partecipazione e la possibilità di sostenere le ragioni della propria richiesta.

Quelle che parrebbero mere procedure rivestono, quindi, un’importanza sostanziale perché attraverso le stesse trovano espressione e completezza i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e di trasparenza dell’agire amministrativo. Questo soprattutto laddove l’azione amministrativa incida sulla libertà personale e sui diritti fondamentali della persona. L’Asgi sottolinea che l’accesso ai luoghi di trattenimento da parte della società civile assume, dunque, un ruolo decisivo per coltivare il dibattito sul tema della detenzione amministrativa spesso trascurato o comunque liquidato mediaticamente come “necessario” al fine di gestire i flussi migratori. «L’obiettivo – conclude l’Asgi -, cui anche questa sentenza conferisce legittimità e importanza, è ancora una volta contrastare le prassi di isolamento dei cittadini stranieri e la volontà politica di rendere questi luoghi invisibili».