La notizia arriva dopo una giornata di tensione, con gli Usa e gli alleati che si dal mattino avvertivano: «Oggi 26 agosto, credibile minaccia terroristica all'aeroporto di Kabul. Non andate allo scalo». Nonostante l'allerta internazionale, un diplomatico occidentale raccontava alla Reuters che «enormi e incredibili folle» spingevano alle porte dello scalo. Il portavoce dell'Emirato, Zabihullah, aveva commentato, senza approfondire, la minaccia Isil: «Non è corretta». L'esplosione avvenuta fuori dall'aeroporto di Kabul ha provocato almeno 60 morti, tra cui dei bambini. Una seconda esplosione è avvenuta vicino all'hotel Baron, che ospita personale statunitense. Morti anche 12 Marines, molti i feriti. L'esplosione registrata nella capitale afghana ha colpito una folla di persone radunate vicino all'aeroporto, diventato sinonimo di speranza per molti dopo la resa della città ai Talebani, ed è stata rivendicata dall'Isis. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha detto che non ci sono italiani coinvolti. I giornalisti presenti nell'area dell'aeroporto di Kabul dove c'è stata l'esplosione hanno anche riferito di «pesanti colpi di arma da fuoco» sparati durante l'attacco. L'ospedale di Emergency sta accogliendo e prestando le cure alle persone rimaste ferite, almeno 120, nell'attentato all'aeroporto di Kabul. QUEI RAPPORTI AMBIGUI TRA ISIS E TALEBANI Nel complesso mosaico di milizie e intrecci tribali che caratterizza l'Afghanistan, l'Isis-Khorasan, il ramo di Daesh nell'Asia centrale, costituisce una grande incognita. Le notizie che giungono da fonti di intelligence sulla formazione terroristica, sorta nel 2015, sono frammentarie e a volte contraddittorie. Non e' mai stata pienamente chiarita, ad esempio, l'esatta natura dei rapporti con lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, e ambigue sono le relazioni con i talebani, sulla carta loro nemici giurati. Secondo l'Onu, l'Isis-Khorasan conta 2.200 miliziani armati concentrati nella provincia montana di Kunar, al confine con il Pakistan. Un contingente composito, dove trovano spazio militanti pashtun pakistani fuggiti dal loro Paese, disertori afghani, estremisti uzbeki e, in numero piu' limitato, reduci arabi di quello che fu lo Stato islamico siro-iracheno. Le comunicazioni con le altre filiali del califfato nero, si legge in un'analisi scritta da Thomas Parker per il Washington Institute, sono ormai limitate a messaggi via cellulare e i finanziamenti ridotti a un piccolo rivolo. Piu' di un analista aveva pero' affermato che un ritorno dei talebani al potere avrebbe offerto ai terroristi una chance di rialzare la testa.