«Mi rendo conto dei condizionamenti politici che hanno portato a questa riforma ed è ragionevole che si vada avanti, per il momento, nella difesa complessiva del disegno riformatore, che è apprezzabile. Ma il condizionamento derivante dalla ritenuta esigenza di non poter toccare l’affermazione di fondo della riforma Bonafede pesa negativamente». A dirlo è Domenico Pulitanò, vera e propria istituzione dell’accademia del Diritto penale italiano.

Professore, cosa ne pensa della riforma, all’esito della mediazione di Cartabia?

Nel complesso, mi pare un passo avanti, pur condizionato da resistenze che sarebbe stato meglio non ci fossero. Rispetto alle proposte della relazione Lattanzi, che mi piacevano molto, alcune cose sono state lasciate da parte e altre, importanti, sono state recepite. Il punto più discutibile, a mio avviso, resta la soluzione in materia di prescrizione e improcedibilità.

Secondo lei non è una soluzione efficace?

È condizionata dall’esigenza politica di accettare, perlomeno teoricamente, l’impostazione della norma Bonafede, che fa cessare definitivamente la prescrizione con la sentenza di primo grado. È una concessione a parole, perché nella sostanza prescrizione e improcedibilità sono esattamente la stessa cosa. L’improcedibilità riguarda l’aspetto processuale, la prescrizione quello sostanziale.

Aver scisso i due momenti ha avuto l’effetto paradossale di drammatizzare il problema della durata delle fasi dei giudizi di impugnazione. La durata dei processi è diventata decisiva ai fini dell’improcedibilità, cioè della non punibilità, proprio per effetto della equiparazione dei tempi di quelle fasi al tempo di prescrizione nella fase precedente. Questo è un primo effetto negativo.

L’improcedibilità, così com’è delineata, è una disciplina la cui legittimità va valutata alla luce dei principi del diritto sostanziale o di quello processuale?

La questione è delicata.

Formalmente è stata definita come processuale, come traspare da vari segni della proposta. Se si prende sul serio questa impostazione, questa disciplina verrebbe sottratta ai principi costituzionali del diritto penale sostanziale in materia di prescrizione, che come istituto è sempre stato valutato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, con particolare riguardo al principio di legalità. E questo problema è venuto in grande rilievo più volte nella giurisprudenza costituzionale.

Anche di recente, nelle sentenze sulla sospensione legata all’emergenza covid, e ancor più, prima, nel dialogo tra la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia sulla vicenda Taricco. La Consulta, nella sentenza che ha chiuso il caso Taricco, ha affermato con forza la pertinenza del principio di legalità alla materia della prescrizione.

Qual è il punto più problematico?

L’affidamento al giudice della possibilità di allungare i tempi rispetto a quelli “base”. Mi domando se questa disciplina sia conforme ai principi costituzionali.

Certamente non lo sarebbe in relazione al diritto penale sostanziale. L’aver etichettato questa disciplina come processuale fa venire meno l’applicabilità del principio penalistico di legalità? Mi sembra un’interpretazione molto pericolosa. Allorquando la riforma entrerà in vigore, di fronte a un provvedimento giudiziario che dispone tempi più lunghi, l’imputato potrebbe sollevare una questione di legittimità costituzionale e potrebbe farlo anche d’ufficio il giudice. E se venisse accolta una questione di questo tipo tutto il sistema che è stato introdotto entrerebbe in crisi.

Pongo questo problema in un’ottica di preoccupazione di segno garantista, rispetto a uno scenario in cui il tempo effettivo di punibilità o non punibilità sia affidato a un provvedimento del giudice, pur vincolato a criteri legislativi, peraltro generici. Ma mi porrei il problema anche dal punto di vista di chi si preoccupa del funzionamento della giustizia che arriva a condanne e punizioni, perché gli elementi su cui è fondato il funzionamento di questo sistema sono affidati a una disciplina che potrebbe essere messa in discussione.

Cosa pensa delle polemiche sollevate dalla magistratura?

Le preoccupazioni per la tenuta dei processi di mafia possono essere, in via di principio, comprensibili. Che tutti i processi di mafia e di terrorismo abbiano sostanza e significhino condanna di delinquenti è invece tutto da discutere. Anche gli imputati in questi processi possono essere innocenti e hanno diritto a processi di ragionevole durata. Una manipolazione dei tempi di prescrizione avendo riguardo a questi schemi mi pare semplicistica. Certamente c’è un problema di funzionalità e adeguatezza dei tempi di non punibilità. Soprattutto, c’è un problema di mantenimento di tutta questa disciplina nell’ambito dei principi di garanzia previsti per la legge penale.

Rimpiange qualche elemento depennato dalla proposta iniziale?

Le cose fondamentali sono rimaste.

C’erano altre cose relative al diritto penale sostanziale che a me piacevano e continuano a piacere, come la trasformazione complessiva della disciplina della pena pecuniaria, o qualche altro punto in materia processuale, relativamente ai presupposti in materia di costituzione di parte civile. Sono punti significativi, ma ciò che conta è che la proposta abbia recepito altri aspetti più importanti, relativi al sistema delle misure alternative e alla possibilità di percorsi, nel processo, che evitino in radice la condanna a pena detentiva. Questo è, nell’ottica del penalista, la cosa importante.

Alcune questioni sono rimaste fuori, tant’è che c’è una proposta di referendum su temi molto sentiti dal fronte garantista, come la separazione delle carriere. Cosa ne pensa?

Sono problemi seri che meritano di essere affrontati in modo diverso sul piano della riflessione di politica legislativa. La trasposizione referendaria rischia anche di creare false contrapposizioni o fraintendimenti. Ma la vera strada da seguire, nell’ambito delle riforme volte a una migliore funzionalità complessiva del sistema giustizia, sarebbe quella della depenalizzazione, di restrizione dell’ambito del diritto penale e di una riduzione dell’area di teorica applicazione della pena detentiva, che invece piace ai giustizialisti del più vario colore e porta a complicare i vari problemi.