«Siamo dinanzi a un radicale cambiamento di clima sulla giustizia penale. Ci sono dei passi avanti oggettivi, del governo e della guardasigilli Cartabia, verso una visione in linea con i principi costituzionali. Ma occorre vigilare, per evitare di stravolgere le soluzioni, pur perfettibili, raggiunte».

Professor Bartolomeo Romano, ordinario di Diritto penale all’università di Palermo ed ex laico Csm: l’esclusione dei reati di mafia dal tempo limite dell’improcedibilità può nascondere trappole?

Vedremo come sarà eventualmente definita la norma. Se si tratta di eliminare la barriera temporale in appello e in Cassazione per le fattispecie incriminatrici concepite per contrastare mafia e terrorismo, potrebbe essere una soluzione plausibile, anche se sono processi che hanno comunque una corsia preferenziale. Ma se una persona accusata di associazione mafiosa, magari in posizioni di retroguardia, viene sottoposta a un processo illimitato anche per furtarelli e piccole rapine, il problema ci sarebbe.

Cosa può accadere?

A quel punto l’accusa di mafia rischierebbe di essere lasciata nelle mani delle Procure come arma adoperata in modo strumentale per sottrarsi a qualsiasi limite di tempo anche quando la gravità delle accuse non lo giustificasse.

In generale come valuta la linea di Cartabia in questa difficile mediazione sul penale?

Ho molto apprezzato gli ultimi suoi passi: dalla visita, insieme a Draghi, al carcere di Santa Maria Capua Vetere al discorso al congresso nazionale forense. In effetti, come ho scritto e dichiarato anche al Dubbio tra febbraio e marzo, mi era sembrato che l’approccio fosse troppo timido e prudente. L’idea di affidare alle commissioni Lattanzi e Luciani le riforme del penale e del Csm delineava un percorso dall’esito incerto. Non mi piaceva, poi, l’idea di partire dai ddl Bonafede, che non mi convincevano affatto.

Cosa è cambiato?

Mi sembra che la ministra stia iniziando a fare passi conseguenti rispetto alle affermazioni di principio sin da subito formulate. Abbiamo immediatamente percepito un radicale cambiamento di cultura giuridica, finalmente ancorata alla Costituzione e alle fonti sovranazionali: ora sembra si inizino a raccogliere i frutti anche sul piano del diritto positivo.

Siamo comunque fuori dalla logica del “fine processo mai”.

Anche nel proprio intervento al congresso forense Cartabia ha fatto un opportuno riferimento alla ragionevole durata dei processi, pretesa non solo dall’articolo 111 della Costituzione ma anche dall’articolo 6 della Convenzione europea. Ha ricordato che l’Italia è stata condannata dalla Cedu 1.202 volte per violazione del termine ragionevole di durata: numero di condanne doppio rispetto al secondo in classifica, che è la Turchia, con 608 condanne. Non credo occorra altro per comprendere come quello sia il faro, mentre la riforma Bonafede della prescrizione immagina un processo senza fine e quindi potenzialmente interminabile.

La strada della “improcedibilità” è convincente?

Premessa: la prescrizione abolita, diciamolo chiaramente senza usare termini ingannevoli come “sospensione”, dopo il primo grado, a mio avviso, era la soluzione peggiore possibile. Ogni modifica non può che attenuare i contrasti con i principi costituzionali e sovranazionali sopra ricordati. Detto questo, preferivo certamente la prima delle due soluzioni prospettate dalla commissione Lattanzi, che incideva sulla prescrizione sostanziale, sia pur ulteriormente diluendola. Mischiare prescrizione sostanziale e improcedibilità non è la soluzione migliore. Ma è comunque meglio dello status quo. Come bene ha detto la ministra a Napoli, non ci possiamo permettere di mantenere la situazione attuale. Tra l’altro, i termini introdotti sono quelli della legge Pinto, che vede pagare tutti noi per mancato rispetto del termine ragionevole dei processi.

Ma per alcuni pm e lo stesso Csm i termini sono troppo serrati...

Allora, dopo le note vicende, che hanno gettato una luce sinistra sulle attività della magistratura associata e sullo stesso Csm, il pressing sulla prescrizione mi sembra proprio una straordinaria arma di distrazione di massa. Ci si è dimenticati delle indispensabili riforme del Csm e dell’ordinamento giudiziario.

Anche la bocciatura del ddl penale nella sesta commissione Csm rientra in questa “strategia”?

Guardi, io ho presieduto la sesta commissione e ho sempre pensato che i pareri si dovessero rendere solo quando richiesti, e nella misura richiesta. Invece, talvolta si ritiene che il Csm sia una sorta di terza Camera. Perciò condivido pienamente l’intervento del presidente della Repubblica, che presiede anche il Consiglio superiore: che sia il plenum, con la necessaria prudenza e ponderazione, a dare un parere sull’intero pacchetto delle riforme apprestate dal governo.

Nel penale è sensato pensare a ulteriori modifiche?

Credo che il muro contro muro, tanto più in un governo con una amplissima maggioranza, sebbene fortemente eterogenea, non convenga a nessuno. Auspico che tutti ragionino, piuttosto che sventolare bandierine. Lo ripeto: non è la riforma migliore, ma migliora lo status quo. E non è poco.