«Con questo governo l’avvocatura è tornata in Parlamento e nelle leggi del Parlamento». Il sottosegretario Francesco Paolo Sisto ha esordito così, aprendo i lavori della sessione pomeridiana del Congresso, dedicata nella sua prima parte alle riforme. Sisto ha offerto alla platea una garanzia: nessuno può pensare di incidere sulla domanda di giustizia per migliorare l’offerta, sottolineando un altro passaggio importante, la normativa sull’equo compenso, che nei prossimi giorni sarà in aula alla Camera. Provvedimento che ha in sé un emendamento sull’adeguamento delle tariffe professionali e che, dunque, consentirà «di migliorare la qualità del diritto di difesa».

La riforma, ha affermato Sisto, non è rivoluzionaria. E non ne aveva lo scopo: «Ci è stata imposta dall’Europa per velocizzare il processo civile e penale. Velocizzare non vuol dire rifondare, vuol dire migliorare. È il tentativo di rendere il processo migliore, più europeo, più digeribile», ha chiarito. Un passaggio importante è che «la pena non è più stretta nella forchetta tra libertà e carcere. Il carcere perde il carattere di mera retribuzione». Un modo per spazzare via l’indole giustizialista, ricordando che il processo è il “software” del diritto penale sostanziale. Il passaggio importante, dunque, è il tentativo di riportare «il cittadino al centro del processo penale, non sono più le procure». Assieme alla Costituzione, un cambio di passo «che forse spaventa qualcuno», secondo Sisto, in quanto sposta in primo piano con forza la presunzione di innocenza. «Abbiamo un altro compito: liberare i cittadini dai guasti del processo mediatico», ha aggiunto. Niente più conferenze show, lettere scarlatte e niente più protagonisti dei processi, garantendo il diritto all’oblio. «Queste sono le battaglie che l’avvocatura deve condurre», ha concluso.

A prendere la parola anche la vicepresidente del Senato Anna Rossomando, anche lei, come Sisto, avvocato. «Siamo a un momento di svolta - ha evidenziato -. Troppo spesso la giustizia è stata ostaggio delle battaglie politiche, è stata strumentalizzata. Se privilegeremo il merito si arriverà ad una sintesi». I tempi non sono una questione di efficienza o efficientismo, ha aggiunto, «sono un elemento di garanzia per le parti e soprattutto per i cittadini che vengono coinvolti nel processo. Un tempo ragionevole sia per l’imputato sia per la persona offesa è una garanzia dello Stato di diritto». Cosa che non vale solo per il processo penale, ma anche per il processo civile. «La novità - ha aggiunto - è che abbiamo questa grande responsabilità e per la prima volta anche risorse che non abbiamo mai avuto, oltre tre miliardi di euro».

A introdurre gli interventi è stata Rosanna Rovere, componente dell’Ocf, secondo cui la riforma Luiso ha, tra le ombre principali, quella di non essere stata concertata con l’avvocatura. «Ci conforta il fatto che si possono eliminare le sanzioni processuali - ha evidenziato -, che rappresentano un abominio, perché l’articolo 24 garantisce il diritto di tutti di agire in giudizio per difendere i propri diritti». Ci sono poi delle luci, una delle quali, fortemente voluta da Ocf e Cnf, è l’apertura verso la giustizia complementare, pur macchiata dall’obbligatorietà. «Credo che la cultura della giustizia complementare passi non attraverso l’obbligatorietà, ma attraverso incentivi che possono orientare il cittadino a scegliere a quale strumento accedere per ottenere il soddisfacimento dei diritti», ha evidenziato. Un altro aspetto positivo, secondo Alessandro Patelli, consigliere nazionale del Cnf, è l’unità di intenti. «Ci siamo mossi all’unisono nel rilevare le aree di criticità su cui intervenire - ha sottolineato -. Per porre rimedio alla crisi della giustizia civile non basta l’intervento sulle singole norme, occorre una visione di sistema, che affronti le difficoltà del sistema giudiziario. È un problema di ordinamento e di organizzazione giudiziaria. Nel nostro Recovery plan - ha aggiunto - non a caso avevamo molto insistito sulla figura del Court Manager. Anche la prestazione dell’ufficio giudiziario e del magistrato deve essere misurabile in termini di produttività e di qualità».

Tale funzione, nella riforma, è assorbita in qualche modo dal ruolo dell’ufficio del processo, «forse sopravvalutato nella capacità di porre rimedio, in termini di efficienza e celerità, alla crisi della giustizia». Per Patelli le ombre sono tante. E si trovano nei provvedimenti anticipatori a cognizione sommaria, previsti già in primo grado, nel ripristino dei filtri in appello e in una monocraticità surrettizia del giudizio d’appello. «La valutazione complessiva è di un processo quasi inquisitorio, nel quale il magistrato può dare un’impronta dirigista molto forte - ha evidenziato -. In realtà non abbiamo bisogno di un magistrato demiurgo che forgia le regole processuali a seconda della controversia. Abbiamo bisogno di regole certe, sicure, che conducano ad una valutazione nel merito del diritto in contesa, non di nuove regole né di regole cervellotiche, che rischiano di aprire una stagione di contenzioso sul rito, non sul diritto». Ha invocato l’unità anche il consigliere Cnf Piero Melani Graverini, anche per «poter meglio affrontare le problematiche che sono nel campo al di là della barricata».

Nella riforma ci sono sicuramente «punti da migliorare», secondo Alessandro Vaccaro, componente di Ocf, ma l’aspetto positivo, ha affermato, è «un’inversione di tendenza». Meno entusiasta Antonio De Notaristefani, presidente dell’Unione nazionale delle Camere civili, preoccupato dal rischio di compressione dell'attività difensiva in un’unica udienza, «per poi permettere di rinviare una causa di due o tre anni. Qual è la logica di una cosa del genere? - ha evidenziato - Sono preoccupato e indignato per l’idea che l’esercizio del compiuto diritto di difesa venga affidato ad un provvedimento discrezionale, come la remissione in termini». Il rischio, secondo de Notaristefani, è il profilarsi di una giustizia di serie A e una di serie B. Da qui la sfida: «Se si può comprimere l’attività difensiva si comprima anche l’attività decisoria», ha affermato. Annunciando che l’Uncc non presenterà alcuna mozione, chiedendo alla platea di votarne solo una, «per parlare con una voce sola, non con una torre di Babele che spesso serve solo a misurare il consenso».