«Le misure alternative sono inutili, le depenalizzazioni sono una foglia di fico, bisogna costruire più carceri». Chi ha preso queste posizioni? Salvini o la Meloni? Forse Marco Travaglio? No, non è una presa di posizione dei soliti reazionari. Ma di Tito Boeri e Roberto Perotti sulle pagine de La Repubblica. Due economisti di area progressista. Parliamo dello stesso giornale che si è accorto dei pestaggi a Santa Maria Capua Vetere dopo oltre un anno di ritardo e che ora pubblica nuovi video dei pestaggi avvenuti nel carcere sammaritano, alimentando quel fenomeno voyeuristico che crea indignazioni e morbosità soltanto con le immagini. Senza di esse, tutto ritorna nella normalità. L'analisi di Boeri e Perotti e gli sprechi per le soluzioni edilizie Si passa ad altro, oppure si ritorna ai propri passi: quello di creare polemiche appena un governo, timidamente, apporta qualche riforma che ha come obiettivo la decarcerizzazione. «Di sovraffollamento se ne parla poco», dicono i due economisti. No, in realtà se ne parla da anni e la soluzione prospettata da diversi governi che vi sono succeduti è stata sempre quella: costruire più carceri. Altro che tabù come dicono Boeri e Perotti. Ma essendo economisti, gli farà sicuramente piacere venire a conoscenza di quanto denaro pubblico è stato sperperato per la soluzione edilizia. Nel 2018 abbiamo avuto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che, dopo aver fatto naufragare la riforma dell’ordinamento penitenziario, ha optato per l’ennesimo piano carceri. I nuovi istituti costruiti si sovraffollano o si lasciano inattivi Altro che tabù. Scenari già visti: si costruisce un nuovo contenitore, nel giro di poco si sovraffolla o si lascia inattivo per mancanza di fondi. È successo negli anni 80, si è ripetuto nel 2008, poi nel 2010 fino ad arrivare ai giorni nostri. Di fronte all’emergenza, la politica vecchia e nuova risponde con la costruzione di nuove carceri che puntualmente non bastano mai perché il sovraffollamento aumenta di pari passi con l’aumento della capienza degli istituti. Gli economisti Boeri e Perotti, per loro stessa ammissione, ne sanno poco visto che non è il loro campo. Dal 1947 al 1970 c'è stata una significativa decarcerizzazione L’analisi del trend di presenze negli Istituti penitenziari non può prescindere da una lettura che tenga conto dei fattori sociali, legislativi economici e giudiziari degli ultimi decenni di storia del nostro Paese, con particolare riferimento al periodo successivo alla promulgazione della Costituzione. Non a caso, dal 1947 al 1970, assistiamo ad una significativa decarcerizzazione della popolazione detenuta, che passa da circa 65.000 a 21.000 unità nell’arco di venti anni. In seguito, dal 1971 al 1990, si registra un aumento di un terzo della popolazione carceraria, che da 21mila passa a circa 30 mila detenuti. E questo aumento combacia con la costruzione di nuove carceri del 1980: in quel contesto nacque lo scandalo delle “carceri d’oro”, quando i costi dei materiali lievitarono moltissimo. La Cedu ha accertato la violazione dell’articolo 3 della convenzione per eccessivo sovraffollamento Dai vecchi dati del Dap, ad esempio, si registra che nel 1974 c’erano 28.286 detenuti. Eppure, sono numeri ridicoli a fronte di 50.779 detenuti odierni. E tutto ciò, nonostante – dati Istat alla mano – i reati sono diminuiti rispetto a quegli anni. E le carceri? Sono aumentate di diverse unità rispetto agli anni 70. Molto prima della sentenza pilota Torreggiani della Cedu, c’è stata la sentenza Sulejmanovic, dove per la prima volta la Corte europea accerta la violazione dell’articolo 3 della convenzione per eccessivo sovraffollamento carcerario. Il paragone con gli altri Stati Europei e l'informazione parziale Correva l’anno 2009. La soluzione? Costruire nuove carceri. Eppure, nell’anno precedente, era stato già avviato un programma straordinario per la realizzazione di nuove carceri e ci riuscirono pure: dal suo avvio al 2011, il Programma di edilizia penitenziaria ha portato alla realizzazione di nuovi istituti. Ma non è servito a nulla. Subito si sono riempiti, fino a straripare. Gli economisti, sempre sulle pagine de La Repubblica, fanno un paragone con gli altri Stati Europei. Dicono che l’Italia, rispetto alla media europea, ha uno dei più bassi rapporti fra detenuti e popolazione. E aggiungono: «Nonostante questo, ha uno tra i più alti tassi di affollamento nelle carceri». I conti, però, non si fanno così. Se non si spiega per bene questa “anomalia”, si dà una informazione parziale del problema. I dati del rapporto dell'associazione Antigone Ci viene in aiuto il rapporto dell’associazione Antigone. Il tasso di sovraffollamento risulta più alto, perché noi adottiamo un criterio diverso per quanto riguarda la misurazione della capienza regolamentare. Da noi il sovraffollamento è cronico, ma il paragone con gli altri Paesi va fatto con altri parametri. Una volta elencati, si comprende che il nostro problema non è una questione relativa alla presunta penuria di istituti penitenziari. Pensiamo alla durata delle pene: i dati mostrano una lunghezza maggiore della media. Solo il 4,4% dei detenuti italiani a inizio 2019 aveva un residuo pena inferiore all'anno. In Francia erano il 18,5%, in Spagna il 10,3, in Danimarca il 27,1 e in Svezia il 19,4. Nei Paesi Bassi erano addirittura il 40,8%, a fronte di una media europea dell'8,5. In Italia il 33% dei detenuti è in attesa di giudizio Numeri che però vanno letti assieme a quelli che riguardano i detenuti in attesa di giudizio, la cui pena non è ancora nota e che dunque non vengono conteggiati. Su questo l'Italia si distingue da sempre, con il suo 33%, dieci punti sopra la media europea (del 23). In Germania erano il 22, in Spagna il 16, in Francia il 29 e in Olanda il 42.Altro dato. Il 22% dei detenuti italiani con pena definitiva doveva trascorrere in carcere tra i 3 e i 5 anni (la media europea era del 17,5); il 27% tra i 5 e i 10 anni (il doppio della Francia, mentre la media europea era del 20,5); il 17% tra i 10 e i 20 anni (media europea del 12) e il 6% più di 20 anni (contro una media europea del 2,5%). Gli ergastolani erano (e sono) in Italia più della media: il 4,4% del totale, a fronte di una media del 3. Non basta? Un altro dato ci viene in aiuto. Da noi sono minori le uscite dal carcere: 83,5 ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media europea di 118. Ciò a conferma del fatto che da noi, in carcere, si resta più tempo. Senza contare, altro dato interessante, il problema delle leggi repressive e carcerocentriche. In Italia sono moltissimi i detenuti per violazione della normativa sulle droghe: il 32%, a fronte di una media europea del 18%. Quindi la conclusione è inevitabile: per rendere le condizioni dei detenuti più umane, è riformare radicalmente il sistema penitenziario e giudiziario. Ne consegue la chiusura di diverse carceri. Questo è quello che è avvenuto nei Paesi civili come la Svezia.