Ho letto la relazione conclusiva della commissione individuata dalla ministra Cartabia per gli interventi in materia di giustizia finalizzata al cosiddetto piano di “resilienza” . Sono un avvocato con 40 anni di esperienza in materia prevalentemente civile. Dunque dalla lettura di quel documento, a mio avviso, di costrutto pratico, c’è poco. Un passo invece sarebbe eliminare dal vocabolario giuridico la dicitura “diritto” posta nelle università avanti a quella di “procedura civile” (...). Oggi il codice di procedura civile è una specie di “Frankenstein”, un corpo su cui si è intervenuti ripetutamente e a più riprese, togliendo, cucendo, aggiungendo, penalizzando, minacciando sanzioni etc. Viceversa la procedura civile dovrebbe tornare a essere norma di secondo rango per l’applicazione pratica del diritto sostanziale. Risulta incomprensibile veder frustrato il proprio diritto (sostanziale ) per delle pastoie procedurali, col risultato che molto, ma molto spesso il diritto (sostanziale) non viene affermato per difetti o errori in procedura, impegnando giudici e avvocati in estenuanti questioni sul punto. Dunque, il codice di rito a mio avviso meriterebbe poche paginette, semplificando in modo elastico e unificando la procedura con beneficio sicuramente della speditezza dei processi. Il voler affermare poi, come afferma e propone la commissione di cui sopra, l’ampliamento di mediazione e negoziazione assistita come risoluzione dell’affollamento della giustizia si profila come l’ennesimo eclatante fallimento, così come si sono dimostrati fallimentari tali istituti , col risultato di allungare tempi e costi, a tacere della difficoltà a spiegare ai cittadini di queste “appendici” a cui bisogna sottostare per giungere a vedere accertato un proprio diritto. Piuttosto andrebbe fatto decollare l’arbitrato, come giustizia di prima istanza. Il problema della mancata applicazione di questo rimedio, come tutti sanno, è il costo elevatissimo (gli arbitri sono pagati, in autoliquidazione, con tariffe professionali, a cui poi magari si aggiunge di dover ricorrere al presidente del Tribunale per contestare tali parcelle). È noto come solo parti che se lo possono permettere ricorrano volontariamente a tale forma di giustizia, proprio per assicurarsi dei risultati veloci e non incappare in lungaggini e macchinosità dei Tribunali. Gli avvocati sono una enorme moltitudine, e molti hanno grande esperienza. Affidategli questa Giustizia di prima istanza (con procedure semplici e comprensibili), ma va stabilito un compenso pari al costo della attuale iscrizione a ruolo e certo qualcosa in più. Sicuramente molti aderirebbero a offrire il proprio servigio, tanto più che, come detto, gli avvocati sono tantissimi e quindi c’è da affidare a tanti questo lavoro con ineluttabile smaltimento del carico generale. Ovviamente il “lodo” (ovvero la sentenza arbitrale ) dovrebbe essere soggetta a impugnativa per riesame totale anche nel merito avanti ai giudici togati (magari collegiali). Infine il giudizio per Cassazione, modificato via via nel tempo (per via giurisprudenziale o legislativa) tanto da diventare un altro mostro mangia diritti piegato a una procedura iniqua e penalizzante (...) . Addirittura qui la suddetta commissione propone un eventuale rinvio incidentale alla stessa Corte nel corso del giudizio di merito per risolvere determinate questioni… tanto per complicare e ingolfare ancora di più le cose. Un altro addendo: le piattaforme telematiche dei processi sono sicuramente un’ottima cosa, purtroppo però sono ben sette, diverse in materia civile, penale, amministrativa, tributaria ecc..., e ognuna ha un metodo completamente diverso dall’altra, il che fa impazzire chi è addetto ai lavori. Vanno senz’altro unificate (in Ungheria già è così!…), e comunque applicando a piè sospinto le normative di emergenza covid circa i collegamenti telematici di udienze scritte e non, che hanno annullato in gran parte perdite di tempo (e anche spese) per tutti: clienti, difensori, parti processuali e magistrati. Avvocato Luigi Esposito