Cè la lettera del mafioso, le allusioni, i collegamenti tendenziosi; e ci sono una manciata di indizi seminati qui e lì senza lombra di una verifica. E, naturalmente, cè il contesto, che in questo caso è rappresentato dalle stragi mafiose. E non può certo mancare una spolverata abbondante di trattativa Stato-mafia: il grande moloch dellantimafia degli ultimi 20 anni. E infine cè il politico, il terminale di tutto, che stavolta risponde al nome di Marta Cartabia. Stiamo parlando della nuova campagna del Fatto quotidiano contro quello che ormai considera il nemico pubblico numero, colei che ha osato sostituire l'amatissimo Alfonso Bonafede.  Fatto sta che Travaglio e soci chiedono conto alla ministra di una lettera arrivata a via Arenula con la firma in calce del boss in carcere Graviano. Si tratta di una delle migliaia di lettere che ogni ministro della giustizia riceve dagli istituti di pena di mezza Italia. Ma al Fatto interessa solo questa lettera perché è ricca di suggestioni e di appigli su cui costruire una storia, una narrazione e, hai visto mai, una ipotesi di reato. Attenzione però: il Fatto non osa accostare - come ha invece fatto in passato con molta nonchalance - Cartabia a Cosa nostra. Però a ben vedere una cosina la dice: quando era in Consulta la ministra dichiarò illegittimo il divieto di concedere benefici ai mafiosi che non si fossero pentiti. Quella decisione - scrive il Fatto con un filo di malcelata inquietudine - fu scritta dallallora presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia.  Come nel più classico dei complotti, tutto torna, dunque... Ma è bene chiarire che l'obiettivo del Fatto è uno e uno soltanto: delegittimare la ministra che sta smontando pezzo per pezzo la riforma della giustizia voluta da Bonafede. Ecco il vero reato di Cartabia: provare a riportare entro il limiti della Costituzione una riforma della giustizia impresentabile...