Per Eugenio Albamonte, segretario di AreaDG ed ex presidente dell'Anm, il quesito referendario sulla separazione delle carriere «rischia» non solo «di essere una mera operazione di immagine» ma anche di ottenere l'effetto opposto ossia «liberalizzare completamente il passaggio tra la funzione di giudicanti e quella di requirenti ». Ritiene che questi referendum siano contro la magistratura e il lavoro parlamentare di riforma? Sì. In primo luogo le forze di governo dovrebbero concentrare l'attenzione sulla proposta di riforma della ministra Cartabia, eventualmente anche per apportare delle modifiche; c'è invece una forza importante di maggioranza che ha avviato un percorso parallelo all’iter di riforma parlamentare che evidentemente ritiene gli dia maggiore visibilità. Le Lega ha messo in atto un proprio piano B che però rischia di far saltare il raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano A del governo. Convengo, invece, con chi ritiene che la riforma della giustizia e del Csm sia assolutamente improcrastinabile: non possiamo permetterci di sprecare questa occasione, sia per il finanziamento europeo sia per la particolare fase che stiamo vivendo caratterizzata da una forte perdita di credibilità della magistratura. C'è chi invece butta la palla in tribuna perseguendo obiettivi che hanno più un valore politico che funzionale: non vedo nulla nei referendum che possa migliorare la giustizia e incidere sulla riaffermazione di credibilità della magistratura.  Se invece a promuovere i referendum fosse stato solo il Partito Radicale sarebbe stato diverso? È evidente che se tra i promotori non ci fosse stata pure la Lega, che dimostra anche con questa iniziativa di voler essere contemporaneamente forza di governo e di opposizione, il referendum non avrebbe avuto il significato politico che ha assunto ora. Qual è il suo parere sul quesito referendario sulla separazione delle carriere?  Ho letto il quesito e la breve presentazione che lo accompagna. Si sostiene che la riforma sulla separazione delle carriere non può essere fatta se non attraverso una modifica costituzionale. Essendo questa non percorribile, dicono i promotori, si tende ad aggirarla intervendo su tutte quelle norme che, nell’ambito del principio costituzionale dell'unicità della giurisdizione, disciplinano i passaggi dall’una all’altra funzione. Per me è ben singolare che si cerchi di aggirare un principio costituzionale che non si riesce a modificare. Tra l’altro in un sistema come il nostro i principi costituzionali hanno una propria forza di resistenza e quindi il quesito rischia di essere una mera operazione di immagine, sempre che venga dichiarato ammissibile. L'altro dubbio che mi pongo è il seguente: se il principio costituzionale rimane e vengono modificate solo le norme che lorazionalizzano e lo rendono operativo, non è che si giunge all'effetto opposto rispetto a quello previsto dai proponenti, ossia di liberalizzare completamente il passaggio tra la funzione di giudicanti e quella di requirenti? Può spiegare meglio? Chi propone il quesito si pone l'obiettivo di cancellare delle norme, partendo dal presupposto che esse consentano il passaggio tra le funzioni. Ma in realtà non è così, perché esse disciplinano il passaggio ponendo delle limitazioni. Eliminando quelle norme, rimane il principio costituzionale dell'unità della giurisdizione puro e duro e quindi tutti potrebbero passare da una funzione ad un'altra senza limiti. Abbandonando le rispettive posizioni ideologiche, non sarebbe il caso di discutere seriamente del tema, considerato il contesto? Io sono entrato in magistratura nel 1995 e di separazione delle carriere se ne discuteva già da prima. Non mi sembra che sia un argomento che non sia stato fino ad ora discusso seriamente. Però la politica ad esempio non discute in Commissione Affari Costituzionali la pdl di iniziativa popolare promossa dall'Unione delle Camere Penali. Sembra che il tema sia un argomento intoccabile.  Si tratta di un tema che alla fine appassiona una platea di nicchia sia nella società civile che tra gli addetti ai lavori. La maggior parte dei magistrati e degli avvocati lo considerano un “non problema”. Secondo me invece adesso dovremmo concentrarci su altri temi sollevati dalla relazione Lattanzi, come le priorità nell'esercizio dell'azione penale ricondotte nella cornice del Parlamento. Come sarebbe necessario discutere dell'organizzazione interna delle Procure in modo verticistico: i posti apicali, sottoposti a nessun controllo, sono così ambiti da organizzare le riunioni clandestine di notte per decidere chi fa il procuratore a Roma, riunendo un pezzo di politica e un pezzo di magistratura. Questi sono i temi che riguardano tutti noi, non la separazione delle carriere. Anche questa volta si corre il rischio di concentrare tutta l’attenzione su questo tema secondario ed ideologico e non sui problemi attuali e urgenti anche relativi alle Procure.