C’è una differenza strutturale, tra Fabrizio Cicchitto e la gran parte dei politici oggi in carriera. L’ex numero due di Forza Italia, oggi commentatore su diversi giornali, ha una cultura da lasciare disarmati. Le analisi le fa su due basi: la realtà e le categorie del pensiero. Provate a mettervi contro di lui: perdete. Ad esempio, perdete nel vostro slancio ottimistico sulla presunta imminente emancipazione della politica dalla supplenza della magistratura. «Ma io più che pessimista mi dico scettico. Si deve distinguere fra rivolta e rivoluzione: sono cose diverse. I segni di rivolta ci sono, è vero, per la rivoluzione mi sa che c’è da attendere e le spiego perché».

Aspetti, onorevole Cicchitto, partiamo dal caso di Crema, dagli emendamenti sulle pagelle ai giudici: non le sembra che la politica si sia stufata?

Sì, certo. È la risposta di chi non ne può più. Guardi, dietro la reazione dei sindaci per l’indagine avviata sulla sindaca di Crema dopo che un bambino si è chiuso le dita nella porta, c’è l’accumularsi di una lunghissima serie di attacchi all’autonomia della politica. Vogliamo mettere insieme quelli principali?

Certo.

Bene. Concorso esterno in associazione mafiosa: si rende conto che non è un reato codificato come tale ma il combinato disposto fra due fattispecie diverse? Poco più in là troviamo la legge Severino: un affronto al principio della presunzione d’innocenza, della verità processuale stabilita nei tre gradi di giudizio. Mi riferisco naturalmente alla sospensione dalle cariche politiche locali fin dalla condanna in primo grado. All’interno di quella legge c’è un altro capolavoro.

A cosa si riferisce?

Al traffico di influenze. Ma come si fa? Com’è concepibile un reato del genere? Ma se fosse esistito quando ero in Parlamento, con tutte le lettere di raccomandazione che ho scritto quando c’erano le preferenze, mi avrebbero dato l’ergastolo.

Fantastico.

Andiamo avanti: la base, naturalmente, è l’abuso d’ufficio: vera licenza di uccidere nella mani dei pm. Il tutto condito da una delle non poche follie autodistruttive realizzate dalla politica in questi trent’anni: l’ultima legge, voluta da Enrico Letta, sul finanziamento pubblico ai partiti, totalmente abolito. Ecco, il quadro è completo. Politica denudata, disarmata.

E proprio di fronte a questo c’è la reazione dei sindaci, della politica, gli emendamenti sul Csm: non le basta?

Aspetti, è una rivolta di chi proprio non ne può più, che reagisce perché gli hanno tolto tutto, ogni difesa, ogni speranza di azione, e non può perdere nulla. Pensi alle fondazioni: quei temerari che avevano finanziato Renzi si sono visti entrare la guardia di finanza in casa alle 5 di mattina, senza essere neppure indagati. A uno la moglie ha detto, dopo la prima raffica d’insulti: azzardati a dare ancora un soldo a sti politici e ti butto fuori di casa. C’è un vaso che trabocca, anche per l’avvocatura: penso alla rivolta delle Camere penali per la rimozione della gip di Verbania, al di là del merito dell’indagine che dovrà pur dirci com’è che abbiamo avuto 14 morti.

E a tutto si aggiunge la crisi iniziata con Palamara, che ha tolto alla magistratura l’aura salvifica.

Sì è vero. È stato un po’ come per l’Urss: non è caduta perché un nemico ha sganciato l’arma letale ma per implosione. Si è avviato un processo distruttivo partito dall’interno. Legato peraltro al cambio di alleanze fra le correnti voluto da Palamara: addio al solito patto fra i gruppi di sinistra e di centro per fare spazio a un’alleanza di centrodestra, Unicost con “Mi” anziché con “Md” appunto. Lì hanno pensato di usare l’arma atomica, il trojan. Ma l’arma atomica, seppure per pochi istanti, emana un bagliore che rischiara tutto. Tutte le contraddizioni e le distorsioni interne. Si sono fatti male da soli. Anche perché si sono dimenticati di Machiavelli.

Machiavelli?

Diceva: al gatto devi sempre lasciare una via d’uscita. Se no si vede perso e ti attacca con gli artigli negli occhi. Ed ecco: Palamara giustamente si è servito di un’autodifesa mediatica e ha portato allo scoperto uno scenario devastante per la magistratura.

E di fronte a tutto questo, caro onorevole Cicchitto, come fa a non essere ottimista su una politica che si riappropria del ruolo?

Deve tenere presenti due classici del marxismo primonovecentesco. Innanzitutto Rudolf Hilferding, Il capitalismo finanziario: ce n’è troppo, e in condizioni simili vengono schiacciati sia gli imprenditori che la classe operaia, diceva. In altre parole: si fa difficile, per la politica, organizzarsi e riprendere il timone, ma il discorso è lungo. L’altro classico ci aiuta di più: Georgj Plechanov, La funzione della personalità nella storia. In pratica spiegava come ci volessero dei veri leader, delle grandi personalità per trasformare una rivolta in vera e propria rivoluzione. Oggi figure di leader in grado di cavalcare l’onda e restituire alla politica il suo primato non ne vedo. Poi per carità, ci sono i piani di Cartabia, a rischio naufragio, però, per le resistenze dei 5 stelle e di quel partito delle procure mai schiodato dalle stanze del Pd. Ci sta pure la mossa geniale di Salvini.

Condivide i referendum?

Avranno il mio voto. Guardi, a me Salvini sta sulle scatole, lo dico chiaramente. Ma ha fatto una mossa geniale: ha disarticolato il quadro. Lui e il Partito radicale hanno messo la giustizia, la crisi della magistratura, a referendum. Hanno scatenato il panico nel Pd, pensi a Bettini.

E allora? Ci siamo: possiamo tornare alla politica egemone!

Gliel’ho detto: ci vogliono grandi personalità. Figure di ben altro spessore. Se no è una rivolta, non la rivoluzione.