Diciamo che in termini di lavoro, la commissione Luciani ne dà molto, alla ministra Marta Cartabia. La proposta di modifica avanzata sul Csm dagli esperti, resa pubblica ieri, è infatti ampia, forse più di quanto lo sia la relazione Lattanzi sul penale: quasi 100 pagine solo per le ipotesi di emendamento, oltre a una ventina di “illustrazione”. È anche una relazione meditata, consapevole dei propri limiti: «La commissione non può fare a meno di richiamare l’attenzione» su un dato, è infatti la frase con cui si conclude il contributo, e cioè sul fatto che «nessun intervento riformatore può avere successo senza un profondo rinnovamento culturale, del quale devono essere partecipi la politica, i mezzi di informazione, l’opinione pubblica e – soprattutto – la stessa magistratura».

Lo aveva detto anche Cartabia nell’esporre le proprie linee programmatiche in Parlamento. Non è una dichiarazione di resa ma un atto di realismo. Va pure detto che dal ministero viene data notizia del testo prodotto dagli esperti con la ripetuta puntualizzazione che «le conclusioni della commissione sono ora al vaglio della ministra», la quale «effettuerà le sue valutazioni e una sua sintesi». Sembra il richiamo a una scelta davvero sospesa, come in parte era apparsa venerdì scorso, quando il professor Luciani aveva sottoposto per grandi linee il lavoro ai capigruppo di maggioranza. Ne era seguito un giudizio pressoché unanime, riportato anche dal sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto in un’intervista al Dubbio: «È stata una riunione interlocutoria».

Dalla lettura della relazione e degli emendamenti si coglie il motivo di quella indeterminatezza: la proposta Luciani rielabora sì il ddl da cui si parte e che è all’esame della Camera, cioè la riforma del Csm targata Bonafede, offre spunti di modifica utili, ma non sceglie l’accetta, non indica ipotesi estreme. Non c’è ad esempio il “sorteggio temperato” per la scelta dei togati né la composizione random delle commissioni di Palazzo dei Marescialli. Non si suggerisce di scendere sotto il limite dei due passaggi da giudicante a requirente o viceversa, già fissato nel ddl Bonafede. Non ci si inoltra in proposte d’avanguardia come quella indicata in uno degli emendamenti depositati da Enrico Costa alla Camera, cioè l’istituzione di commissioni “separate per funzione” (diverse per giudici e pm) in materia di nomine e trasferimenti, sempre per ridurre il peso dei requirenti. E il tenersi indietro rispetto alla linea della rivoluzione è di fatto un assist politico per Cartabia: in vista degli emendamenti governativi da proporre sul Csm, la ministra a questo punto dovrà scegliere fra una pur profonda manutenzione normativa, messa sul tavolo dagli esperti, e i colpi d’acceleratore bruschi, ma forse necessari, indicati sia dai gruppi parlamentari che dai referendum di radicali e Lega.

Le proposte che riguardano gli avvocati

Si può andare per esempi e capire meglio il senso del bivio. Sui Consigli giudiziari, le norme già previste da Bonafede all’articolo 3 non vengono stravolte: ci si ferma alla istituzionalizzazione del diritto di tribuna per gli avvocati e i professori, «con la conseguente uniformazione di prassi, allo stato, discordanti», come si legge nella relazione. Si aggiunge solo che la partecipazione dei laici alle riunioni dei “mini Csm” in cui si discute di promozioni dei magistrati deve avvenire «con pieno diritto di parola» : un po’ pleonastico. Il referendum, ma anche gli emendamenti parlamentari di Fi, Azione e Pd introducono invece il diritto di voto. Altra distanza dal referendum: la raccolta firme a cui sono tenuti i magistrati per candidarsi al Csm. Uno dei 6 quesiti promossi dai pannelliani e da Salvini prevede l’azzeramento di quelle sottoscrizioni, la commissione Luciani si limita a ridurne il numero.

Agli avvocati interesserà molto anche la novità relativa all’Ufficio studi e documentazione, articolazione tecnica ma strategica del Csm: il ddl Bonafede riserva 8 posti aperti sia ad avvocati e professori che ai magistrati, la proposta degli esperti indica almeno 8 posti e un massimo di 12, ma ne riserva 2 terzi «arrotondati per difetto» alle toghe, e un terzo «arrotondato per eccesso» a professione forense e accademia. Meglio o peggio? Certo, dal punto di vista dei magistrati viene scongiurato il rischio di vedere quella riserva di posti monopolizzata dagli “estranei”, però gli stessi estranei sono certi che almeno 3 posti, nella peggiore delle ipotesi, andrebbero a loro. Riguardo agli avvocati, si chiarisce che chi entra nell’Ufficio studi viene sospeso dall’esercizio della professione ai sensi della legge forense, articolo 20.

Altri dettagli: è ormai noto che sulle cosiddette porte girevoli i tecnici sono meno tranchant del ddl Bonafede. Lo sono anche, seppur in modo sfumato, sui limiti ai fuori ruolo, che i deputati puntano a ridurre più drasticamente. Ma tra i correttivi utili, la relazione resa pubblica ieri reintroduce la riserva di seggi per categorie, con la tradizionale prevalenza di giudici rispetto ai pm ( rapporto 3 a 1): d’altronde Cartabia l’aveva quasi promessa. Sul “rinnovo modulare” ogni due anni, pure ipotizzato dalla ministra in Parlamento, si spiega, non a torto, che sarebbe difficile arrivarci senza una modifica della Costituzione. Da ultimo, su un punto sembra esserci convergenza fra esperti e deputati garantisti: le valutazioni di professionalità positive vengono diversificate in “distinto”, “buono” e “ottimo”: novità opportuna. Però la commissione non arriva a istituire un peso specifico per i rinvii a giudizio e i relativi insuccessi processuali. Anche qui, i partiti vanno oltre. E anche da qui emerge che la ministra dovrà scegliere fra misura e scelte più drastiche.