Pare che Draghi l'abbia presa davvero male ed è probabile che sia così. L'accordo sulle riaperture raggiunto nella cabina di regia la settimana scorsa, che segnava un punto a favore dell'ala "aperturista" capitanata dalla Lega, prevedeva il mantenimento, per ora, del coprifuoco alle 22. L'alzata di testa di Salvini che ha denunciato l'accordo siglato da Giorgetti e che lui stesso aveva esaltato, il premier non se l'aspettava o almeno non pensava che arrivasse sino al punto di non votare il decreto. Tanto più che una nuova mediazione si sarebbe raggiunta facilmente e senza fragore decidendo di rivedere tutto, alla luce dei dati, a metà mese. Deluso sì. Stupito forse no. È difficile credere che a Draghi sia sfuggito che Salvini si muove ormai quotidianamente in una direzione precisa. La campagna sulle riaperture, gli attacchi continui contro Speranza, il blocco della legge Zan sull'omotransfobia al Senato e della legge sulle fake news sempre a palazzo Madama, lo strappo di mercoledì scorso, poi la richiesta di dimissioni della sottosegretaria 5S alla Giustizia Macina per i sospetti sollevati dalla stessa sul ruolo della senatrice leghista e avvocatessa Bongiorno per il caso che coinvolge il figlio di Beppe Grillo ma nel quale è ormai entrato a gamba tesa anche l'Elevato padre. Dichiarazioni, peraltro, certamente discutibili e che non giovano all'immagine del M5S ma non tali da rendere obbligatoria la richiesta di dimissioni in un momento molto teso, nel quale una simile campagna non può che essere pioggia sul bagnato. Il problema è che quella tensione continua Salvini non solo non intende evitarla ma la persegue. È una strategia, non il frutto di qualche intemperanza. Giusto o sbagliato che sia, il calcolo del capo leghista è doppio. Prima di tutto deve tenere botta a fronte della sfida sempre più incalzante e sempre più vincente di Giorgia Meloni. Ma deve anche dimostrare al suo elettorato che la bussola del governo è nelle sue mani e che è lui a orientare le scelte di fondo del governo e della maggioranza, come nel caso del ddl Zan. Se tra due settimane il governo deciderà di posticipare il coprifuoco, come è in realtà probabile salvo peggioramento dei dati, dopo l'intemerata di ieri il leghista ascriverà a proprio esclusivo merito una variazione tra le più popolari per tutti e non solo per i ristoratori. Non è affatto detto che in termini di popolarità e consenso questa strategia paghi più di una scommessa netta sul governo, come vorrebbe Giorgetti, o sull'opposizione, come piacerebbe alla base dura del Carroccio. Di certo però raggiunge perfettamente l'obiettivo di stressare e portare all'esasperazione i momentanei soci di maggioranza, i tre partiti "di Conte". Da un lato soffrono un'offensiva che li rinchiude nella parte scomoda dei paladini delle chiusure a ogni costo, dall'altro si trovano puntualmente alle prese con un partner-per-forza aggressivo e che non tiene in alcun conto la necessità di restituire al Paese l'immagine di una maggioranza se non proprio coesa almeno non rissosa sui punti chiave, in particolare sul fronteggiamento della pandemia. È di giorno in giorno più evidente che la sopportazione soprattutto del Pd è arrivata a un passo dal limite. Questo quadro mette Draghi in una situazione difficile. In teoria anche una uscita della Lega dalla maggioranza non creerebbe troppi problemi e anzi una maggioranza "Ursula" sarebbe ben più coesa. La realtà è diversa. Quella maggioranza sarebbe forse stata possibile al momento della nascita del governo. Oggi un'uscita della Lega significherebbe imboccare a velocità sostenuto lo svincolo verso la fine della legislatura subito dopo il semestre bianco. Il quale, peraltro, probabilmente acuirà ulteriormente la tensione, sgombrando la scena dai residui rischi di elezioni nel 2021.Il premier manterrà la linea seguita sinora, avocando a sé la decisione finale e cercando di cedere il meno possibile alle pressioni politiche però tenendo conto della necessità di non far apparire mai il governo egemonizzato da una delle due anime contrapposte della maggioranza. La stessa decisione di non dare soddisfazione alla Lega e alle Regioni sul coprifuoco deriva solo in parte dalla valutazione politica per cui non si poteva infliggere un'altra mazzata alla sinistra "rigorista". Ma soprattutto Draghi teme il segnale psicologico che verrebbe inviato da una riapertura non graduale: quello del "liberi tutti" in una fase che ancora non lo consente. Ma come per tutto la possibilità di tenere a bada le tensioni crescenti nella maggioranza impugnando lo scettro dipenderà tutta dalla capacità di ottenere risultati effettivi contro la pandemia prima dell'estate. Altrimenti la sua credibilità, e dunque la sua autorevolezza all'interno della maggioranza, rischierebbero di non reggere più.