«Ma perché Vito Crimi decide ancora cose?». È questa la domanda che più di un parlamentare si pone subito dopo aver ascoltato le novità organizzative (ed economiche) presentate dall’eterno ex capo politico del Movimento. La reggenza di Crimi, infatti, è scaduta già da quattro mesi, eppure il senatore grillino continua a portare ufficiosamente avanti la baracca fino a quando Giuseppe Conte non sarà definitivamente incoronato segretario. Spetta a Crimi, dunque, l’onere di convincere i parlamentari a lsciarsi travolgere dal nuovo corso caratterizzato da rivoluzioni nel campo delle restituzioni, della democrazia diretta e dell’organizzazione interna.

«Abbiamo deciso di modificare il meccanismo di rendicontazione e restituzione, semplificandolo», spiega il reggente, stimolando subito i primi mugugni («abbiamo chi?», dice ironica una deputata). «L’obiettivo», prosegue Crimi, «è consentire al Movimento di diventare un soggetto autonomo dal punto di vista organizzativo, in modo che possa direttamente interfacciarsi con i soggetti fornitori di servizi». D’ora in poi, infatti, le “donazioni” dei parlamentari andranno a finire direttamente nelle casse del partito, che da due settimane si è dotato di un conto corrente autonomo, in modo tale da consentire al M5S di strutturarsi come una forza tradizionale, con tanto di sede fisica a Roma. La “riforma” delle rendicontazioni prevede che ogni eletto versi mensilmente «1.500 per la restituzione alla collettività e mille euro per il Movimento» come spese «per l’organizzazione, la piattaforma, la tutela legale». La quota per il partito sostituisce i 300 euro fino a ieri destinati all’Associazione Rousseau e che non dovranno essere più versati a decorrere dal primo aprile: il M5S si doterà infatti di una piattaforma autonoma, annuncia Crimi, gestita dall’interno.

«Ma perché ci chiedono i soldi prima di spiegarci il progetto politico di Conte di cui non sappiamo nulla?», dice la deputata Federica Dieni. Perché è questo il nodo principale che Crimi non scioglie. E gli eletti, soprattutto quelli al secondo mandato, non se la sentono di metter mano al portafogli al buio senza nemmeno sapere se saranno ricandidati. Anche perché l’autotassazione sarebbe l’unica forma di finanziamento prevista, visto che il reggente esclude categoricamente il ricorso al 2 per mille, considerato parente troppo stretto del contributo pubblico ai partiti. «Ma perché si può far cadere il tabù delle restituzioni a favore del Movimento e non quello del 2 per mille?», chiede ancora Dieni, convinta che se un partito ha davvero intenzione di strutturarsi non può pensare di vivere solo coi mille euro dei parlamentari. «A questo punto versiamo l’intera somma sul nostro conto corrente, compresi i 1.500 euro per la collettività, e attiviamo pure il 2 per mille», spiega ancora la deputata. «Voglio dire, siamo al governo, abbiamo la possibilità di cambiare concretamente la vita delle persone con le leggi, non con la beneficenza».

Dieni però non è l’unica a mostrarsi perplessa sul nuovo corso. Più di un deputato alza la mano per chiedere chiarezza al reggente, mostrando insofferenza nei confronti dell’ennesima sterzata calata dall’alto. «A scatola chiusa io non accetto nulla», dice perentorio il presidente della commissione Agricoltura a Montecitorio Filippo Gallinella. «Voglio che sia Conte a comunicarci queste cose, con la nuova organizzazione», aggiunge, accusando implicitamente il reggente di non essere titolato a parlare per conto d’altri. Ragionamento analogo a quello dell’ex sottosegretaria Mirella Liuzzi, convinta che serva un progetto chiaro prima di avanzare proposte di modifica: «Bisogna capire come strutturarci sui territori e dove andranno questi soldi, altrimenti non funziona», spiega Liuzzi. E un po’ di scetticismo traspare anche dall’intervento dell’ex vice ministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni, secondo il quale «non si possono fare errori del passato, serve chiarire quali spese verranno coperte con quel versamento per avere massima chiarezza. Non chiedo oggi un budget, ma almeno definire che costi vengono coperti», precisa puntiglioso in assemblea.

Del resto, il nervosismo per il mistero che avvolge l’intera operazione Conte comincia a infastidire parecchio la base parlamentare, stanca di essere esclusa da ogni processo decisionale. In tanti cominciano a guardarsi intorno, convinti che l’avvocato intenda creare una struttura a propria immagine e somiglianza, facendo volentieri a meno dell’intera classe dirigente pentastellata. Così qualcuno bussa alle porte della Lega, un altro sonda le disponibilità del Pd e c’è chi pensa di poter passare all’opposizione salendo sul quotatissimo carro di Giorgia Meloni. Ma c’è anche chi aspetta di capire le intenzioni reali di Casaleggio e, soprattutto, di Alessandro Di Battista. Se entrambi decidessero di lanciarsi in una nuova avventura “controvento”, più di un parlamentare potrebbe seguirli.