Contro le intercettazioni selvagge la ministra della Giustizia Marta Cartabia “sguinzaglia” gli ispettori. A via Arenula è stato infatti formalmente aperto un fascicolo sull’inchiesta della Procura di Trapani sulle Ong, nell’ambito della quale diversi giornalisti e avvocati sono stati intercettati. All’ispettorato generale è stata dunque data disposizione di «svolgere con urgenza i necessari accertamenti preliminari, formulando all’esito valutazioni e proposte». Un vero e proprio faro acceso, dopo la denuncia dell’Ordine dei giornalisti e della Federazione nazionale della Stampa italiana, mentre tutto tace sulle intercettazioni che coinvolgono i penalisti. «Intercettiamone uno, intimidiamo tutti gli altri», aveva sintetizzato, poco più di un mese fa, la Camera penale di Roma. All’epoca il caso riguardava Pier Giorgio Manca, avvocato 75enne del foro capitolino, indagato dalla Procura di Roma con l’accusa di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Il suo nome è finito in un’inchiesta relativa ad un traffico di droga proveniente dalla Colombia, gestito da un’organizzazione di tredici persone, ai cui vertici ci sarebbero tre militari e il penalista romano, accusato di aver consentito la circolazione d’informazioni tra i componenti dell’organizzazione criminale e di aver fornito assistenza morale e materiale ai detenuti del clan. Ciò sulla base di due anni di intercettazioni video e audio all’interno del suo studio legale e sul suo cellulare. Ma il suo non è un caso isolato. Poco prima era capitato a Roberta Boccadamo, anche lei del foro di Roma, che leggendo l’ordinanza del Gip di Genova con le motivazioni della misura cautelare nei confronti dei vertici di Atlantia, tra cui Giovanni Castellucci, e della controllata nell’ambito di un’indagine avviata sulla base della documentazione acquisita nell’inchiesta legata al crollo del Ponte Morandi, si è imbattuta nell’intercettazione di una conversazione tra lei e Antonino Galatà, ex Ad di Spea, incaricata da Aspi della sorveglianza e manutenzione della rete autostradale in concessione, suo assistito. Conversazione non solo registrata, dunque, ma anche trascritta e utilizzata dal gip. Una intromissione giustificata con una circostanza non veritiera: Boccadamo venne indicata come compagna del suo assistito. Nicola Canestrini, del foro di Rovereto, ha portato il suo caso davanti alla Cedu, denunciando una lesione del diritto di difesa. Canestrini, infatti, ha ritrovato nei brogliacci allegati alle informative contenute nei fascicoli di un’indagine alcune intercettazioni intrattenute con il proprio cliente, in quel momento detenuto a 200 chilometri dal suo ufficio. Prima di loro era toccato a Francesco Mazza, avvocato del foro di Roma, che nel 2019 si è ritrovato citato in un’informativa di cui era entrato in possesso dopo la notifica della chiusura delle indagini preliminari a carico di tre suoi assistiti, indagati nell’ambito della vasta operazione anti usura condotta dai carabinieri di Roma Eur e denominata “Under Pressure”. Per ben due volte la polizia giudiziaria ha appuntato dettagli di conversazioni tra lui e uno dei tre clienti, il cui telefono era sotto controllo da un po’. Ad Asti, sempre nel 2019, l’intera classe forense si era mobilitata quando Roberto Caranzano, avvocato astigiano, si ritrovò allegato al fascicolo di un processo per spaccio di droga il “foglio notizie” con le spese del procedimento penale, 27 pagine composte prevalentemente dal report delle intercettazioni con dentro i nomi di decine di colleghi di Asti, Torino e Cuneo, consulenti e giudici onorari. Un grosso malinteso, si affrettò a spiegare la procura di Asti, che parlò di «errore del sistema informatico». Gli ultimi casi riguardano quattro avvocati, finiti nelle quasi 30mila pagine di un'indagine avviata dalla procura di Trapani nel 2016, con lo scopo di fare luce sull'attività delle ong attive in mare per soccorrere i naufraghi che cercavano di raggiungere le coste europee. Si tratta di Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni, intercettata al telefono con la giornalista d’inchiesta Nancy Porsia, Michele Calantropo, Fulvio Vassallo e Serena Romano. E quale fosse il loro ruolo era noto anche alla polizia giudiziaria, che nell’appuntare i loro nomi li ha definiti avvocati per i diritti umani. Una violazione dell’articolo 103 del codice di procedura penale, che al quinto comma stabilisce che «non è consentita l’intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari né quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite». Il colloquio tra difensore e assistito, dunque, è inviolabile, principio sancito anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui tale diritto rientra tra le «esigenze elementari del processo equo in una società democratica». Ma questa regola, troppo spesso, viene bypassata.