Silenzio, parla il Covid! Nel metrò di Barcellona da alcuni giorni sono spuntati dei cartelli che invitano i viaggiatori a stare zitti. Vietato parlare con il collega di lavoro, vietato conversare con l'amico, il familiare, o con un semplice passante, una misura che vale anche per gli autobus e che potrebbe essere estesa a tutti i luoghi pubblici. Oltre a lavarsi le mani, all'impiego sistematico della mascherina, al distanziamento sociale, alle serrate, al confinamento, alle zone rosse, ora il virus ci impone la clausola del silenzio. O meglio, a imporlo sono le autorità catalane, in una deriva paranoica e fuori controllo che dovrebbe servire ad aumentare la sicurezza tra la popolazione ma che naufraga nel suo opposto, generando un apocalittico sentimento di insicurezza e paura. Come se fosse una rappresentazione teatrale, il Covid ci costringe ad assistere muti alla pièce, peccato che i protagonisti di quella rappresentazione siamo noi e non c'è nessun sipario che possa calare in scena se non, appunto, quello  silenzioso della distopia. Centinaia di migliaia di viaggiatori ogni giorno utilizzano i treni sotterranei della città catalana immersi in un acquario, distanziati e muti, risucchiati dai loro smartphone con il collo perennemente chino sullo schermo e circondati da cartelli che li invitano a stare zitti. E fa impressione la rapidità e la docilità con cui abbiamo accettato questi cambiamenti, rinunciato alle nostre libertà primarie. Forse la pandemia non ha fatto che accelerare e dare corpo a qualcosa che era già presente tra di noi e che la società digitalizzata già da anni ci spiattella davanti ai nostri occhi ignari: saremo sempre più interconnessi e sempre più distanziati, capaci di interagire gli uni con gli altri solamente tramite telefoni, computer, e altri dispositivi, ovvero attraverso il black mirror della modernità.