La Giustizia è un servizio essenziale e pertanto vanno vaccinati tutti i suoi componenti, avvocati compresi. A dirlo non è uno dei tanti Coa che, in queste settimane, hanno rivolto appelli alle istituzioni, né una delle associazioni dell’avvocatura, ma l’Associazione nazionale magistrati, l’organo sindacale di giudici e pubblici ministeri. Che rompendo il silenzio ha deciso di replicare alle accuse di quanti, in queste ore, hanno individuato nella richiesta di inserire il comparto Giustizia tra le categorie prioritarie l’ennesimo tentativo di una casta di usufruire di una corsia preferenziale. Obiettivo polemico preferito gli avvocati, categoria impegnata, tanto quanto le altre, nella difesa dei diritti. Ma privilegiata per quanti, in queste ore, hanno lamentato le difficoltà di accesso al vaccino da parte delle categorie più deboli.

Il nuovo piano vaccinale esclude i lavoratori addetti ai servizi essenziali dalle categorie che potranno essere sottoposte a vaccinazione in via prioritaria. E ciò nonostante sin dall’inizio della pandemia sia stata evidenziata la necessità di garantire i servizi essenziali. Tra questi rientra, appunto, la Giustizia, che nonostante le difficoltà ha continuato a lavorare anche durante il lockdown. Quei lavoratori - magistrati, avvocati, dipendenti - hanno continuato, dunque, a spostarsi, ad incontrare gente e a svolgere il proprio lavoro in spazi spessi non adeguati a garantire la sicurezza di tutti. La richiesta di Anm, si legge in una nota, non rappresenta il tentativo di ottenere «una indebita corsia preferenziale». Rispecchia, piuttosto, la nuda e cruda realtà: «La necessità di svolgere la maggior parte delle udienze in presenza – allo stato della normativa attuale e per l'incompleto percorso di digitalizzazione e di aggiornamento delle dotazioni informatiche – espone quotidianamente gli operatori della giustizia ( personale amministrativo, magistrati e avvocati) al rischio di contrarre il virus e di trasmetterlo - affermano i magistrati -. Negli uffici giudiziari, molto spesso non dotati di adeguati sistemi di areazione e di locali idonei a garantire il necessario distanziamento - se non a costo di un eccessivo rallentamento del servizio, in danno dell'utenza - vi è, infatti, un inevitabile, frequente contatto diretto tra un notevole numero di persone, con evidente ed elevato rischio di diffusione del contagio e di sviluppo di focolai epidemici». Da qui, data per scontata la precedenza alle persone vulnerabili e con disabilità grave, la richiesta di inserire tra le categorie prioritarie «il personale del comparto giustizia, compresa l'avvocatura». Solo così, secondo Anm, sarà possibile evitare le contraddizioni registrate nelle ultime settimane: sono diverse, infatti, le Regioni che hanno deciso di procedere con le vaccinazioni per i lavoratori della Giustizia - in alcuni casi tutti, in altri solo magistrati e cancellieri.

Le polemiche intanto non si placano. Il Fatto Quotidiano, ieri, attaccava gli ordini - dagli avvocati ai giornalisti, passando per magistrati, psicologi e veterinari -, accusati di voler «saltare la fila» a danno dei più deboli. La richiesta degli ordini, in realtà, è anche quella di fare chiarezza: una linea certa, che non lasci alle Regioni la possibilità di creare discriminazioni all’interno delle stesse categorie e tra una zona e l’altra, con un effetto a macchia di leopardo che vanifica il lavoro fatto. E per gli avvocati la questione è dirimente: sono loro quelli che, tra i lavoratori dei servizi essenziali, hanno più probabilità di spostarsi da una regione all’altra. Lo ribadisce anche Gian Domenico Caiazza, leader dell’Unione delle Camere penali, costretto a “raddrizzare” l’immagine degli avvocati. «Puntualmente, scoppia la polemica. La “casta” degli avvocati viene iscritta d'ufficio nella categoria dei tracotanti furbetti che scavalcano la fila. Ecco i soliti potenti, i soliti odiosi privilegiati», scrive in una nota. Convinto che debba essere il governo, e non le Regioni, a dover chiarire la questione, Caiazza condanna l’indignazione cavalcata da media e social, «straordinariamente indicativa della idea becera, populista e qualunquista che si ha, in larghissima parte della pubblica opinione, della figura sociale e professionale dell’avvocato». Caratteristica di un Paese «con una cultura illiberale profondamente e radicalmente diffusa, che ha da sempre nella denigrazione della figura dell’avvocato una delle sue più inconfondibili manifestazioni». E ciò dimenticando che «assolve ad una funzione di garanzia indispensabile in qualunque società umana, in ogni epoca della storia: la difesa dei diritti di libertà della persona di fronte alla micidiale potestà punitiva dello Stato».

Intanto la confusione aumenta. In Umbria, ad esempio, la Regione ha avviato il percorso di vaccinazione per magistrati, cancellieri, ufficiali giudiziari e personale amministrativo in generale. Rimangono fuori gli avvocati, esclusione che in una nota a firma del Coa di Perugia viene definita «arbitraria e illogica». E in Veneto la Regione ha risposto picche agli avvocati. I motivi sono due: la necessità di completare, in via prioritaria, le vaccinazioni delle fasce più a rischio e il numero limitato di dosi di vaccino. «Noi per primi avevamo subordinato la nostra richiesta al preventivo assolvimento di detta primaria esigenza sociale», si legge in una nota a firma dei presidenti dei sette ordini della regione. Esigenze che, però, non hanno riguardato magistrati, personale amministrativo e polizia giudiziaria.