Finora c’era un solo baluardo: la Costituzione. Al vertice di ieri mattina fra Marta Cartabia e i partiti si sono rimaterializzati due protagonisti: la magistratura e l’avvocatura. Ebbene sì, la chiave è anche questa: la guardasigilli che viene dalla Consulta ridarà la parola ai tecnici del diritto. Lo farà per poche settimane, con «gruppi di studio» agili, ai quali chiederà di rivedere le tre riforme di Alfonso Bonafede: penale, Csm (alla Camera) e civile (al Senato). Come chiesto da Alfredo Bazoli e Franco Mirabelli del Pd e da Federico Conte di Leu, i “tecnici” insediati al ministero (ma scelti all’esterno) dovranno essere in costante contatto con le commissioni Giustizia di Montecitorio e Palazzo Madama. Proprio nella sinergia fra esperti e Parlamento si dovrà individuare la correzione di rotta. Che non risparmierà la prescrizione di Bonafede. Il tutto «per la fine di aprile». Entro quella data si dovrà trovare la sintesi, certamente sulla riforma del processo penale e sulla norma cara ai 5 stelle. Verrà dunque prorogato di un mese esatto il termine per gli emendamenti al ddl, ora fissato al 29 marzo. Le modifiche saranno fatte proprie dalla guardasigilli. Qualora sulla prescrizione non ci fosse completo accordo, com’è assai probabile, sarà lei a procedere in una chiave che sia coerente «con la Costituzione». L’auspicio è che «per l’estate vengano approvate tutte e tre le leggi delega». In prima lettura, quanto meno.

«Modifiche alla prescrizione in chiave costituzionale»

Nella partecipatissima riunione di via Arenula con presidenti e capigruppo di maggioranza delle due commissioni Giustizia non si è arrivati ai dettagli, anche se sono stati fissati gli obiettivi del Recovery: «Interventi migliorativi su edilizia carceraria, digitalizzazione e ufficio del processo». Ma sul capitolo più delicato, la prescrizione, la ministra è stata chiara. Primo: «La durata deve essere ragionevole». Nessun processo potrà dunque avere durata potenzialmente infinita. Secondo: «Si deve rispettare l’articolo 111 anche riguardo al principio del giusto processo». Vuol dire che il giudizio non può celebrarsi a distanza eccessiva dal fatto altrimenti la difesa non trova neppure i testimoni a proprio favore. Terzo: «Va assicurata coerenza con il fine rieducativo della pena». Quindi nessuna condanna può essere eseguita quando il colpevole è una persona «ormai mutata». Tre mazzate alla prescrizione di Bonafede. E va bene la «centralità del Parlamento». Ma gli emendamenti arriveranno anche se il Parlamento non si metterà d’accordo. Se i 5 stelle contesteranno le soluzioni altrui. In quel caso provvederà il governo. Punto e a capo.

Costa (Azione): «Intesa tra i partiti o nostra funzione sarà notarile»

Sono indicative le parole di Enrico Costa, deputato di Azione e anti Bonafede per eccellenza: «Ci sono norme approvate dal governo Conte, come la riforma della prescrizione, che rischiano di influenzare negativamente il processo legislativo sul penale». È vero per due motivi. Come dice Costa, la prescrizione di Bonafede è una di quelle «pericolose bandierine che, se non rimosse, ostacoleranno il lavoro parlamentare». Ma è vero pure perché proprio per dimostrare che i processi sarebbero stati così fulminei da rendere irrilevante la forzatura sulla prescrizione, si era arrivati a prendersela con giudici (sanzionati per i processi lenti) e avvocati (ridotti a terminali di notifiche per indagati irreperibili o trattati come impostori che propongono appello anche se l’imputato non vuole). Ora invece saranno proprio magistrati e avvocati, insieme con l’accademia, a rivedere il ddl penale e la prescrizione di Bonafede. È il contrappasso virtuoso della nuova giustizia targata Cartabia. Che in apparenza mette tutti d’accordo. Ma in pratica porterà, come dice Costa, a significativi interventi sui ddl del vecchio governo. «La maggioranza dovrà essere in grado di raggiungere una sintesi e discutere le proposte con l’esecutivo», avverte ancora l’ex viceministro, «altrimenti sarà relegata a un ruolo notarile». Chiarissimo.

Prime schermaglie fra 5 stelle e Italia viva

Al vertice di ieri, i rappresentanti del Movimento 5 Stelle, in particolare la senatrice Grazia D’Angelo e il presidente della commissione di Montecitorio Mario Perantoni, hanno espresso il loro punto di vista: «La norma Bonafede non va eliminata». Hanno ribattuto di nuovo Costa e Lucia Annibali, la deputata di Italia viva che ha prestato il cognome al “lodo”: «Invece va cambiata». Il punto di caduta è sempre lo stesso: se non si arriva alla sintesi, come pare già evidente, provvede Cartabia. La guardasigilli naturalmente dedica una parte notevole dell’incontro mattutino ai capitoli del Recovery relativi alla giustizia e alle altre priorità imposte dall’emergenza, come il concorso per magistrati e l’esame da avvocato (di cui si riferisce in altro servizio, ndr). Accenna alla possibilità di un tavolo tecnico con il Mef per riformare anche il processo tributario e agli ultimi passi da compiere sulla Procura europea, prospettati nel recente incontro col vicepresidente del Csm David Ermini. Il vertice della commissione Giustizia del Senato Andrea Ostellari assicura «la disponibilità della Lega e mia personale, a partire dal metodo basato sul dialogo». È il dem Mirabelli ad apprezzare «l’attenzione che la ministra ha dimostrato sulla necessità di migliorare la situazione nelle carceri, sulle pene alternative e sul trattamento esterno: obiettivi che condividiamo e su cui daremo il nostro contributo». L’ordinamento penitenziario non è imposto dall’Ue. Ma si può scommettere che, entro la fine della legislatura, Cartabia riporterà in vita anche quella riforma.