Se negli Stati Uniti sono abituati alla walk of shame delle persone tratte in arresto costrette dalla polizia a fare la passerella dinanzi alla folla di giornalisti, qui in Italia abbiamo i video delle forze dell'ordine a celebrare la camminata della vergogna, come se la vicenda di Enzo Tortora non ci avesse insegnato nulla. Il caso in questione di oggi riguarda il video della Polizia di Stato pubblicato sul sito del Resto del Carlino: 90 secondi di auto-esaltazione che riprendono prima il convoglio di macchine degli agenti in autostrada e poi l'esecuzione dell’ordine di custodia cautelare nei confronti dei due indiziati - Claudio Nanni e Pierluigi Barbieri - rispettivamente presunti mandante e  esecutore materiale dell’omicidio di Ilenia Fabbri, meglio noto alle cronache come l’omicidio di Faenza. Tale episodio viene ora fortemente stigmatizzato dall'Osservatorio sull'informazione giudiziaria dell'Unione delle Camere Penali Italiane con un documento di cui vi proponiamo ampi stralci: «Questa volta le telecamere sono addirittura entrate nelle abitazioni degli indagati, riprendendo tutte le fasi in cui costoro venivano privati della loro libertà, mentre indossavano le manette, in attesa di ogni giudizio, attraverso una profanazione non certamente mitigata dall’oscurazione postuma del loro viso». Il fatto su cui si indaga è sicuramente grave, «ma il diritto  di cronaca - scrivono i penalisti - non può spingersi fino alla divulgazione al pubblico delle immagini integrali dell’arresto dei due indagati, coperti per altro dal presidio della presunzione di innocenza». Ma cosa prevede la legge in merito? L'Osservatorio lo spiega chiaramente:«La legge vieta la pubblicazione dell’immagine di una persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova con le manette ai polsi ovvero soggetta ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta e punisce chiunque contravvenga a tale divieto con sanzioni di carattere penale e disciplinare. Salve le sanzioni previste dalla legge penale, la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli artt. 114 e 329 comma 3 lettera b) costituisce infatti illecito disciplinare a carico di esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato e di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero informa l’organo titolare del potere disciplinare». Pertanto è evidente che «tutelare con maggior cura possibile la dignità delle persone sottoposte ad indagini, o comunque coinvolte in un procedimento penale, è dunque un preciso dovere dello Stato, tanto più qualora la persona versi in condizioni di particolare vulnerabilità; eppure questo principio, sancito dalle direttive europee, oltre che dalla legge italiana, viene continuamente vituperato». Come sappiamo molte  persone sono state sbattute sulle prime pagine dei giornali e la loro immagine è stata distrutta, «eppure, ad oggi, non risultano segnalazioni degli Uffici di Procura e tantomeno iniziative disciplinari a fronte della non infrequente pubblicazione di foto e riprese di arrestati in manette, magari con l’ipocrita accorgimento delle manette “pixelate” e dunque, paradossalmente, ancor più sottolineate». La conclusione è che «se è vero che la cronaca è un diritto, non lo sono né lo possono diventare la curiosità o la sete di vendetta. Gli strumenti per contenere queste distorsioni sono sempre stati in un cassetto che purtroppo nessuno vuole aprire. Sarà impegno dei penalisti italiani ricercare quella chiave a tutela delle garanzie costituzionali che si è scelto di difendere».