«Dalle liti tra i miei genitori alla dolorosissima separazione con mio marito: porto la mia storia e le mie ferite nel mio lavoro. E quello che mi far star bene a fine giornata è sapere di aver aiutato non solo giuridicamente ma anche umanamente i miei assistiti». Lucia Legati, avvocata di famiglia mediatrice civile e commerciale, mediatrice familiare e conduttrice di gruppi di parola per figli di genitori separati racconta la sua storia al Dubbio: «Quello che prima vivevo come una forma di menomazione del mio vissuto, è divenuto una fonte di energia per la mia professione». Parlaci del tuo lavoro e del tuo ruolo di conduttrice di gruppi di parola per figli di genitori separati. Di cosa si tratta? Ho studiato a Firenze con Marie Simon, una neuropsichiatra infantile e psicologa francese che ha ideato questo metodo per aiutare i figli di genitori in crisi. Ho deciso di seguire il corso perché secondo i modelli vigenti i mediatori familiari di formazione giuridica non possono avviare mediazioni familiari con la partecipazione dei figli senza una specifica preparazione. Ho vissuto come un minus questo limite e ho sentito che nel mio kit di formazione mancava uno strumento ed ho voluto acquisire le competenze che mi mancavano. A Bari il presidente del Tribunale per i minorenni ha avviato una campagna molto attiva per l’assistenza ai minori e introdotto l’utilizzo di questo strumento sia nell’ambito dei procedimenti di adozione sia in quelli di separazione. Come funziona? Si creano dei gruppi di max 10/12 ragazzi omogenei per età e problematica familiare. All’interno del gruppo, condotto nella massima riservatezza perché i ragazzi che debbono sentirsi liberi di esprimersi, si utilizzano strumenti video o libri per facilitare la narrazione di sé da parte dei minori. Quando i ragazzi capiscono di non essere più soli e che altri condividono le lor stesse criticità, si aprono al confronto. Il percorso dura quattro incontri al cui termine i ragazzi scrivono una lettera ai genitori, esprimendo il loro sentire. L’insieme dei loro pensieri viene composto e la lettera resa anonima e consegnata ai genitori in modo da far loro comprendere l’insieme delle emozioni, timori , paure e sofferenze che la crisi familiare fa insorgere nei figli. All’esito spesso i genitori si convincono ad intraprendere un percorso di mediazione familiare. Si tratta di un punto di arrivo di una tua storia personale? Sono seconda di tre figli, nata in una famiglia di condizioni economiche disagiate. Mio padre non poté proseguire gli studi nonostante fosse molto bravo a scuola al punto che gli insegnanti fecero una colletta per aiutarlo a studiare ma i miei nonni la rifiutarono perché mio padre era destinato a guadagnare col lavoro per supportare gli altri fratelli. Il suo desiderio più grande era consentire a noi tre figli di studiare. Quando rientrava dal lavoro di muratore, noi figli lo circondavamo e mentre ci raccontava de sé, ci spronava all’amore per lo studio, si informava di quello che facevamo a scuola mentre noi scrostavamo la calce dai suoi vestiti. Lui emigrò in Germania e lì acquisì conoscenze importanti nell’attività edilizia al punto che dopo dieci anni di lontananza rientrò in Italia e avviò l’attività di imprenditore edile, riscattandoci economicamente. Io stessa coltivavo l’amore per lo studio e volevo che mio padre fosse orgoglioso dei miei risultati. Purtroppo lui aveva una mentalità un po’ maschilista e riteneva che una figlia femmina dovesse conseguire un diploma che le consentisse di trovare un lavoro subito dopo la maturità, così che se si fosse fidanzata avrebbe potuto sposarsi senza interferire con gli studi. Così io, che ero portata per gli studi classici, dovetti seguire ragioneria, cosa che feci con grande successo ottenendo annualmente borse di studio. All’esito mio padre si convinse che potevo proseguire gli studi e mi propose di iscrivermi a economia e commercio perché in azienda gli serviva un consulente fiscale. Ma a me interessava studiare diritto e non volli sentire ragione, ed alla fine si convinse che avevo seguito la mia passione e mi disse “forse avrò bisogno anche di un avvocato”. Infatti ancora oggi seguo la contrattualistica aziendale. Questa la storia dei tuoi studi. Ma in ambito familiare che successe? Mentre stavo finendo l’Università mia madre decise di chiedere la separazione. Sapevo che erano in crisi ma la separazione scoppiò come una bomba, mia madre sembrava non ragionare più e la litigiosità raggiunse livelli inauditi. Studiavo con i tappi nelle orecchie per non sentire la guerra tra i miei genitori. Mio padre venne messo letteralmente fuori di casa da mia madre e per non allontanarsi da noi si stabilì in uno studio adiacente a casa nostra. Mi faceva pena perché nessuno badava a lui e mi ritrovai a mentire a mia madre per andare ad assisterlo per fargli da mangiare. Io ho in mente mio padre dietro una finestra che mi aspetta come un carcerato attende la visita dei parenti. Mio padre mi parlava, si informava della mia quotidianità, mi tranquillizzava garantendomi la sua presenza e anche che la situazione si sarebbe risolta. Con questo atteggiamento mio padre è riuscito a darmi la forza di accettare le grandi tensioni che la mia famiglia stava vivendo. Quando mi sono laureata c’erano solo i miei fratelli ed i miei genitori, che se ne stavano seduti l’uno lontano dall’altra e “festeggiammo” con una pizza col benestare di mia madre. In seguito mia madre si ammalò gravemente e mio padre fu molto presente per aiutarla così riuscirono a sedare la loro litigiosità e la lite venne consensualizzata. Credo si siano resi conto del disagio che avevano creato a me e ai miei fratelli. Quale è stata la tua reazione? Io giurai a me stessa che qualunque cosa mi fosse capitata nella mia vita non avrei mai fatto soffrire mio figlio in questo modo. Purtroppo non sono stata fortunata in amore e l’uomo che ho sposato dopo un brevissimo fidanzamento ha replicato nella nostra famiglia gli schemi distorti che aveva vissuto nella sua. Quando è nato nostro figlio io mi sono organizzata al minuto secondo gli impegni quotidiani per poter continuare a lavorare pur occupandomi della casa, di mio marito e del bambino, rispettando quelli che ritenevo fossero i doveri di moglie e madre di famiglia, oltre che di lavoratrice. Ad un certo momento gli ho chiesto aiuto ma lui si è risentito sempre più e provava fastidio alle mie richieste. Sono iniziati i litigi e presto ha iniziato ad aggredirmi anche fisicamente, purtroppo davanti a nostro figlio. Mio figlio aveva messo a punto un sistema di protezione, perché quando ci vedeva litigare violentemente iniziava a tossire e vomitare così il padre si spaventava e se ne andava. Compresi che se non avessi reagito avrei fatto solo il male di mio figlio e mi risolsi a chiedere la separazione. Appena ricevuta la notifica del ricorso mio marito se ne andò di casa, ma prima svuotò il conto comune dove stavano anche i miei risparmi e si portò via degli oggetti di pregio. Per me l’importante era liberarmi di una presenza che stava soffocando me e nostro figlio e decisi poi di lasciare perdere denunce e rivendicazioni pur di chiudermi alle spalle la storia. Il suo atteggiamento anche in seguito è sempre stato denigratorio nei miei confronti tant’è che mio figlio manifestava disagio a frequentarlo . Io allora adottai lo stesso atteggiamento che mio padre aveva adottato con me: lo tranquillizzavo mostrandomi serena e garantendogli che la situazione si sarebbe risolta. Fino ai 18 anni l’ho sempre spinto a frequentare il padre, ma quando è divenuto maggiorenne mi ha espresso la sua soddisfazione di poter decidere da solo se vederlo o meno. E come queste vicende hanno influenzato le tue scelte professionali? Professionalmente mi avvicinai alle tecniche di mediazione e di lì il passo fu breve verso lo studio della mediazione familiare. Fu qui che io mi trasformai mettendomi in gioco totalmente perché rivissi tutta la mia vita durante il percorso formativo: ma invece di vederci macerie ci ho visto risorse. Studiando psicologia, sociologia, comunicazione, ho acquisito nuove competenze e quello che prima vivevo come una forma di menomazione del mio vissuto, è divenuto una fonte di energia per la mia professione. Da allora ho adottato la tecnica dell’accoglienza sia verso le persone in crisi familiare sia verso i loro figli. Quando ascolto una persona in crisi, dentro di me vedo immediatamente la sofferenza di chi mi parla, ma anche del suo coniuge e anche dei loro figli. Ed è stata proprio l’attenzione verso i minori che mi ha portato a completare il mio percorso per includervi anche il loro ascolto. Ti piace il tuo lavoro? Quello che mi fa star bene è sapere a fine giornata di aver aiutato non solo giuridicamente ma anche umanamente i miei assistiti. E che persona sei adesso? Continuo ad essere una figlia di genitori anziani, affetti da patologie, che mi hanno eletta a loro sostegno per aiutarli nella quotidianità, per parlare con i medici, per rassicurarli. E mi organizzo al minuto secondo per stare dietro a loro, ai miei impegni professionali, alla formazione. E continuo ad essere una madre ripresa da mio figlio che mi dice “mamma ti ricordi che ci sono anch’io?” ma mi invidia per le mie energie che presto. Mio figlio è il mio banco di prova per quanto faccio, ma anche la cartina di tornasole del mio operare: ci parliamo tantissimo e lui è sempre disponibile al confronto. Al punto che? Al punto che mi ha appena fatto un grande regalo: ha letto della sentenza della Corte Costituzionale sulla libertà di scelta del cognome di un genitore e mi ha espresso la sua determinazione ad aggiungere il mio cognome a quello del padre.