Le dimissioni del segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, sono state un fulmine a ciel sereno nella galassia dem, non tanto per il gesto in sé, visto che ormai in molti chiedevano un passo indietro al presidente della Regione Lazio, quanto per tempi e modi, visto che fino all’ultimo l’ha tenute nascoste perfino ai big del partito e ne ha dato pubblicamente avviso con un lungo post di sfogo su Facebook. Al quale ieri ne è seguito un secondo, in cui dice che «non ci sarà alcun ripensamento». Massimo Cacciari, filosofo e già sindaco di Venezia, spiega che è questo il momento per il Pd di rifondarsi («se non ora, quando?») ma bisognerà capire se il gesto porterà a un congresso «in cui finalmente si decide qualcosa» o se «faranno finta di niente come sempre». Professor Cacciari, cosa ha portato il Pd alla situazione in cui è ora? L’incapacità di trovare un accordo politico e strategico tra le sue varie componenti. Da quando è nato, il Pd è sempre stata un’armata Brancaleone di posizioni contrapposte che di volta in volta sono diventate inconciliabili. È quello che accade da 15 anni e la mossa di Zingaretti è soltanto una delle tante conseguenze di questa peculiarità. Crede che ora le cose potrebbero cambiare? Non cambieranno fintanto che non ci sarà alla sua guida un gruppo dirigente e un leader che dicano “basta” per davvero ricominciando da capo senza strascichi e compromessi. È questo il momento giusto per farlo? Mi verrebbe da dire se non ora quando. Se il segretario fa una sorta di epitaffio del partito che ha guidato fino a un minuto prima, come ha fatto, vuol dire che la malattia è mortale. Se la malattia è mortale, si può dire che, seppur indirettamente, Renzi abbia raggiunto il suo obiettivo di fare al Pd quello che Macron ha fatto al partito socialista in Francia? Se Renzi pensa di erigere mausolei propri sulle rovine del Pd è davvero matto. Beh, ma ha detto lei che il Pd è un partito morto… Mi pare evidente che dalla dichiarazione di Zingaretti si evinca che è un partito disgregato. Si tratta però di capire se i dem riusciranno a mettere insieme i cocci e iniziare tutta un’altra storia oppure no. Siamo in una fase simile al periodo pre-Bolognina con Achille Occhetto. L’Occhetto di oggi può essere una donna? Serve un corpo dirigente nuovo, quando si tratta di gestire un funerale poco cambia se lo fa un uomo o una donna. Non è questa l’epoca delle immagini simboliche, delle similitudini e delle fantasie. Zingaretti nel suo post su Facebook ha usato un tono inusuale, molto duro. Perché? Si vede che non ne poteva più. Ha buttato già un rospo di troppo ed evidentemente gli è rimasto in gola. È chiaro che non andava molto d’accordo con i big del partito. È palese. Ora però si tratta di vedere se le differenze vengono fuori con chiarezza e senza ipocrisie in un vero congresso in cui finalmente si decida qualcosa oppure se, come sempre, il Pd farà finta di niente. Pensa che il segretario dimissionario possa tornare sui suoi passi? È tutto lì il succo. Bisogna capire se Zingaretti farà seguito a questa sua mossa con atteggiamenti altrettanto radicali o se, anche lui, lascerà perdere e torneranno amici come prima. Ma è molto difficile che possa fare un passo indietro. Farebbe una brutta figura. Come giudica il suo gesto? Un leader politico deve dire cosa non va e per quali motivi, per poi indicare quale linea seguirà per risolvere i problemi. Finora si è solo sfogato senza dare un’altra prospettiva. Adesso dovrà farlo.