Non solo M5S, Pd e Leu. Anche i magistrati puntano il dito contro Matteo Renzi per le conferenze saudite. O meglio, una parte della magistratura organizzata, Md (la corrente di sinistra delle toghe) che sulla sua rivista on line Questione giustizia ospita un articolo dal titolo più che eloquente: «Legittimare un despota? E per un piatto di lenticchie?». A firmarlo è il direttore Nello Rossi, già avvocato generale presso la Corte di cassazione ed ex membro del Csm. «Se l'Italia vuole conservare un accettabile grado di credibilità nel contesto internazionale, deve stringere un cordone sanitario intorno a sortite come quella ' araba' di Matteo Renzi, ricordandogli che essere stato presidente del Consiglio comporta oneri anche quando si è cessati dalla carica e che essere parlamentari di una Repubblica democratica non è compatibile eticamente e politicamente - con l'adulazione dei despoti», scrive il magistrato in quiescenza.

Ma è proprio questo il punto: perché un magistrato, seppur in pensione, si occupa di politica e di etica sulla rivista di una corrente dell’Anm? Cosa sarebbe accaduto a parti invertite, se cioè fosse stato un politico, seppur non più in attività, ad attaccare un magistrato nel pieno delle sue funzioni?

Il problema non riguarda il punto di vista di Nello Rossi, che può essere condivisibile o meno, ma l’opportunità delle parole pronunciate da chi non dovrebbe curarsi di questioni attinenti alla giustizia. Altrimenti i campi si mescolano fino a diventare indistinti e un potere costituzionalmente riconosciuto rischia di prevaricare su un altro. E come nel caso di Renzi a Riad: anche per Nello Rossi nulla di illecito, tanto di sconveniente.