Altro che prescrizione rinviata alle calende greche: si fa prima di Pasqua. C’è una data: il 29 marzo. È il nuovo termine per gli emendamenti alla riforma del processo penale. Proroga di tre settimane: la precedente scadenza era all’ 8 marzo. A decidere la modifica del calendario è la commissione Giustizia di Montecitorio. Mario Perantoni, deputato 5 stelle che di quella commissione è il presidente, spiega al Dubbio: «È una decisione necessaria. Il precedente termine a questo punto sarebbe stato troppo ravvicinato. C’è una nuova maggioranza, abbiamo una nuova ministra guardasigilli: è chiaro che in un quadro simile maturino proposte di modifica al disegno di legge sul processo. Ed è chiaro che serve un margine di tempo in più per definirle». Giusto. Ma è evidente come l’ulteriore margine concesso per cambiare il ddl penale chiami in causa il nodo prescrizione. Con un mese di tempo davanti, i partiti di maggioranza potranno mettere a punto le proposte per superare la norma Bonafede. Non solo. Considerato che l’ordine del giorno sulla prescrizione è nato dall’iniziativa della guardasigilli Marta Cartabia, è evidente come l’emendamento risolutivo possa venire proprio da lei. La ministra della Giustizia ha un mese per mettere fine allo stillicidio. Sembra poco, dopo quasi tre anni di liti. Ma può essere abbastanza per una ministra che giovedì scorso, tre minuti dopo il voto di fiducia alla Camera, ha riunito i responsabili Giustizia della nuova maggioranza in una sala di Montecitorio e ha scritto al volo il testo della pace. Il suo ordine del giorno è stato condiviso due giorni fa, sempre alla Camera, da tutti i partito che sostengono Draghi. Impegna l’esecutivo a cambiare la prescrizione di Bonafede. E una guardasigilli che in una sera mette d’accordo una dozzina di partiti non dovrebbe trovare troppo angusto un termine di trenta giorni.

Anche perché, interpellato dal Dubbio sui primi passi della ministra, il presidente Perantoni spiega: «Posso dire di aver trovato in Cartabia una figura capace di concretezza politica. Chi aveva in mente l’accademica di grande levatura scientifica ma impreparata ad affrontare le interlocuzioni coi partiti deve ricredersi. Cartabia ha dimostrato di saper fare sintesi. Lo ha fatto con la stesura dell’ordine del giorno, condivisa con l’intera maggioranza. Il testo è stato scritto quasi interamente durante l’incontro di giovedì scorso, nella sua ossatura. Nei giorni successivi», fa notare il presidente della commissione Giustizia, «è stato sottoposto solo a piccoli aggiustamenti».

È così dunque: il lodo della tregua porta innanzitutto la firma di Cartabia. Ma ora comincia il countdown della verità. Perché entro il 29 marzo la maggioranza dovrà decidersi: ci si accontenta del lodo Conte bis, come vorrebbe Bonafede, o si va oltre, e si interviene profondamente sulla prescrizione dei 5 stelle? Con un’intervista al Dubbio, ieri il dirigente che coordina il lavoro del Pd sulla Giustizia, Walter Verini, ha messo sul tavolo l’ipotesi della «prescrizione processuale». Vuol dire «un limite massimo di durata per ciascuna fase del processo, oltre il quale non si può andare». Non è una proposta nuova: il dem avevano già provato a discuterne con Bonafede un anno fa. Ma l’allora ministro rispose: «Vorrebbe dire far rientrare dalla finestra la vecchia prescrizione che abbiamo fatto uscire dalla porta». Ora è evidente che la maggioranza è cambiata. Che le forze garantiste prevalgono. Che i 5 stelle sono in minoranza, nella compagine che sostiene Draghi. E si capisce perfettamente, dalle parole da Verini, come il Pd in una cornice simile non abbia intenzione di restare schiacciato sulle ritrosie del Movimento. Ma mettere un termine di durata ad appelli e giudizi di Cassazione ora potenzialmente eterni potrebbe costare anche l’uscita dei pentastellati dalla maggioranza.

Sulla proposta Verini, Perantoni non esprime valutazioni di merito: «Ho un ruolo istituzionale: presiedo la commissione Giustizia. Posso solo dire che se il Pd avanzerà una proposta, sarà discussa in commissione al pari delle altre». Intanto dentro e fuori il Parlamento si discute anche di abuso d’ufficio. All’inaugurazione dell’anno giudiziario presso il Tar del Lazio, Draghi ha evocato una nuova fase basata sulla «fiducia» negli amministratori. Ne è venuta la richiesta di cambiare il reato di abuso, rilanciata da Berlusconi, che ne ipotizza l’abolizione. Sul punto, Perantoni ritiene necessario preservare la fattispecie come «presidio di legalità», visto che «durante il Conte 2 è già stata modificata per agevolare l’attività degli amministratori onesti». È un fronte ulteriore: difficile possa aprirsi seriamente ora. Ora si deve decidere sulla prescrizione. Chi come Giorgia Meloni temeva un rinvio della palla in tribuna, prenderà atto che la partita è entrata nella fase decisiva.