È bastata una sola settimana e l'eterno ricorso a una sorta di "ragion di Stato" per convincere Giuseppe Pignatone ad archiviare la lezione di Leonardo Sciascia sui diritti. In un bellissimo articolo di qualche giorno fa l’ex procuratore di Roma aveva infatti citato uno dei pensieri più limpidi e netti di Sciascia il quale, sulla lotta alla mafia, aveva le idee assai chiare: per nessun motivo la battaglia contro le organizzazioni criminali deve scalfire diritti e garanzie dell’imputato. Di ogni imputato.

«La repressione violenta e indiscriminata, l'abolizione dei diritti dei singoli non sono gli strumenti migliori per combattere certi tipi di delitti e associazioni criminali come mafia, `ndrangheta e camorra», aveva scritto Pignatone citando Sciascia. E ancora: «La soluzione passerà attraverso il diritto o non ci sarà; opporre alla mafia un'altra mafia non porterebbe a niente, porterebbe a un fallimento completo». Come dire: c’è una linea, la linea tracciata dal nostro Stato di diritto, che non va superata neanche in nome della lotta alle mafie.

Ma nell’editoriale uscito su La Repubblica di ieri, l’ex magistrato sembra tornare sui suoi passi. La “pietra d’inciampo” è il 41bis, l’istituto del “carcere duro” che il nostro Paese riserva a boss - talvolta solo presunti boss - e affini. Una misura contestatissima dagli altri stati europei e più volte bocciata e liquidata come tortura proprio così: tortura - dalla Corte europea dei diritti umani. Pignatone, come molti altri magistrati antimafia, insinua il dubbio, o meglio la convinzione, che il 41bis sia uno strumento indispensabile per la lotta alle mafie perché impedisce le comunicazioni tra il carcere e l’esterno: «un flusso vitale per i mafiosi che solo così possono mantenere il controllo sui loro affari e il loro ruolo nell'organizzazione». E a suffragio del suo ragionamento Pignatone porta l’esempio di un mafioso che, potendo beneficiare di nuovi spazi di libertà, si era riavvicinato all’organizzazione criminale.

E in effetti non c’è alcun dubbio che isolare una persona per 23 ore al giorno in una cella di 10 metri quadrati, consentirgli l’ora d’aria solo quando gli altri detenuti sono rinchiusi e proibirgli la visita di figli, mogli e nipoti, di certo rende difficile qualsiasi attività criminale. Ma una democrazia moderna deve sempre chiedersi: è legittimo tutto questo? Chiudere le nostre Guantanamo rischia di indebolire la lotta alla mafia, ma indebolire il nostro Stato di diritto forse è ancora più rischioso.