L'argomento eterno è quello della ragionevole durata del processo, ma l’esperienza obbligata della pandemia ha aggiunto anche altri temi, che vanno perfezionati. E non bisogna lasciare indietro il penale e il carcere, perché una pena in grado di rieducare per davvero restituisce molto alla società anche in termini economici. A dirlo è la dem Anna Rossomando, vicepresidente del Senato, che non rinuncia alla strategia del suo partito: affrontare parallelamente le due riforme e arrivare ad una loro approvazione in tempi ragionevoli.

Senatrice Rossomando, il Pd non vuole mollare la presa sul penale. Però la Commissione europea ha insistito, in maniera particolare, sulla riforma del processo civile.

Questo per via del fortissimo legame che ha con lo sviluppo, con il sistema creditizio e quello imprenditoriale e con i diritti dei singoli e delle imprese. La novità è che con il Recovery abbiamo a disposizione un investimento senza precedenti. Si parla di 2- 3 miliardi, con capitoli di spesa che riguardano anche le cittadelle giudiziarie. Risorse che ci danno la possibilità di intervenire sul personale amministrativo e giudiziario e anche sulla loro specializzazione. Poi c'è la questione della digitalizzazione, un percorso iniziato da tempo e che va portato a termine, facendo tesoro anche delle esperienze fatte durante la pandemia, alcune delle quali, almeno nel civile, meritano di essere mantenute. Ma ciò implica anche una migliore e diversa organizzazione, perché non si tratta di una mera sommatoria di dati informatici. Poi c’è un altro aspetto che, come avvocato, mi sta particolarmente a cuore: la salvaguardia del diritto di difesa e della qualità dei giudizi.

La Corte dei Conti ha infatti evidenziato la necessità di non lasciare indietro la riforma del processo penale, che sull’economia incide, basti pensare alle misure cautelari reali. C’è spazio per accelerare anche questo iter?

Penso non solo che si possa, ma che lo si debba fare. In ogni caso non partiamo da zero e di questo troviamo le tracce anche nella legge di Bilancio approvata a Natale, con un investimento forte proprio in termini di assunzioni nel comparto giustizia. Aggiungo inoltre che c’era stata un'autorizzazione di spesa di 25 milioni di euro per l'ampliamento e l’ammodernamento degli spazi che riguardano il lavoro dei detenuti e quindi sulla pena, sulla funzione rieducativa e il reinserimento.

Cosa manca affinché l'Europa sia contenta di queste riforme?

Coniugarle con un ulteriore ampliamento delle risorse umane e materiali e un arricchimento professionale. Aspetti importanti, quando si parla di qualità dei giudizi, sono anche la specializzazione e la preparazione, come sottolineato anche dal presidente Draghi. E poi interventi molto mirati sulla procedura. Ovviamente con la semplificazione dei riti, però in modo molto puntuale. E bisogna anche investire su esperti che si occupino di fare un piano di riorganizzazione che tenga conto della sfida digitale. C’è un altro aspetto: questo piano di ripresa e resilienza inaugura una indispensabile nuova stagione di investimenti industriali e la transizione ecologica, che a maggior ragione necessita di un “sistema civile” dei rapporti economici, commerciali e giuridici tra imprese che funzioni. Quindi non è solo un problema di allineamento con l'Europa: questo grande input di sviluppo ha bisogno di un nuovo servizio giustizia su cui poggiare. Pensiamo a quanti contratti partiranno, anche con aspetti innovativi: dobbiamo prevedere un’agilità contrattuale.

Il Cnf ha proposto di esternalizzare alcuni aspetti della giustizia civile, può essere una strada?

Ci sono due problemi distinti: il primo riguarda l'arretrato, male endemico, soprattutto nel civile, e nessuna riforma può partire se non lo si elimina. Nella scorsa legislatura si era provveduto con un decreto che aveva consentito di eliminarne una grossa parte e questo ci aveva anche fatto meritare degli apprezzamenti in Europa. La conditio sine qua non, dunque, è un investimento di risorse straordinarie in questa direzione. Con riferimento al ruolo dell’avvocatura, per quanto riguarda l’esternalizzazione, credo che si possa lavorare su quegli aspetti di volontaria giurisdizione laddove non c'è contenzioso, sul potenziamento della negoziazione assistita e dell'arbitrato. Tutto ciò a patto che si lavori contemporaneamente su un alleggerimento del peso fiscale e sulla sua onerosità, in quanto, per cultura politica, il Pd è contrario a una giustizia selettiva, basata sul censo: selezionare e ridurre i costi per lo Stato aumentando i costi per i cittadini non va bene. D'altra parte, proprio nella scorsa legislatura si era aperta una grande strada sulla negoziazione assistita, non solo per alleggerire il carico, ma anche per dare maggiore ruolo e responsabilità all'avvocatura, che deve essere considerata una parte del sistema giurisdizionale con delle competenze e una funzione pubblica.

C’è anche da rivedere, sempre in tema di Recovery Plan, l’investimento sull'infrastruttura carceraria. Cosa bisogna fare?

Puntare sulle misure alternative. Abbiamo lavorato molto nella scorsa legislatura e anche se all’inizio di questa era rimasto un po’ nell'angolo, continuo a ritenerlo un tema molto importante. Sia le misure alternative sia i modi differenti e differenziati con i quali scontare una pena nelle strutture detentive hanno molto a che vedere con i costi in termini sociali, che si traducono anche in costi economici per la società. Questo è un punto di discussione sul quale magari non la pensano tutti allo stesso modo, ma sicuramente il mio partito non ha mai mollato la presa su una rivisitazione dell'esecuzione della pena in questo senso. E mi piace ricordare, considerato che la ministra della Giustizia è la presidente Cartabia, che la Corte Costituzionale con la presidenza di Giorgio Lattanzi, ha fatto una cosa rivoluzionaria portando la Consulta nelle carceri; ritenendo che i detenuti sono cittadini titolari di diritti e di doveri e che imparando questo possono, a maggior ragione, adempiere ai loro doveri. Sappiamo ancora quanto ci sia da fare per le nostre carceri, perché per le attività rieducative e lavorare servono strutture attrezzate e spazi. Tutte cose molto restitutive nei confronti della società, non solo nei confronti di queste persone. Tra l'altro, la pandemia ha accentuato tutta una serie di problemi, come il sovraffollamento.

La ministra Cartabia ha annunciato un ordine del giorno sul tema della prescrizione. Cosa ne pensa?

Lo vedo molto favorevolmente. Sulla politica giudiziaria non la pensiamo tutti allo stesso modo, ma se si sta al merito è più facile trovare delle soluzioni. La prescrizione non è lo strumento per accelerare i processi e va rivista nel quadro generale della riforma del processo penale e quindi affrontando la questione della ragionevole durata del processo. Non vorrei sembrare affezionata al passato, ma avrei aspettato di vedere gli effetti della riforma Orlando, che aveva inserito un breve periodo di sospensione, argine a un perimento anticipato del processo, insieme a una serie di misure deflattive. In realtà non c'è stato il tempo di poterne osservare i risultati, ma si potrebbe ripartire da quella impostazione. In ogni caso, la cultura giuridica dell'attuale ministra della Giustizia è una garanzia per tutti.