«Da persona di grande intelligenza Mario Draghi cerca di non mettere sul tavolo argomenti troppo divisivi. La prescrizione è il più divisivo di tutti. Eppure credo che alcune riforme razionali siano possibili anche in materia penale. Serve un modo diverso di presentarle ai cittadini».

Gaetano Pecorella non ha difficoltà ad ammettere di essere stato segnato, nella propria vicenda politica, dalla vicinanza a Silvio Berlusconi. «Mi si è attribuito, senza motivo, un uso strumentale di alcune proposte di legge». Ma una figura come la sua, che rappresenta perfettamente il nobile contributo offerto dall’avvocatura penale italiana alla democrazia, ha oggi la lucidità di non chiamare i garantisti alla battaglia. Piuttosto invita a comprendere che, visto l’orientamento dell’opinione pubblica, si deve trovare un compromesso fra garanzie e visioni giustizialiste prevalenti. Pecorella è una figura chiave nella storia dell’Unione Camere penali italiane. Ne è stato presidente dal 1994 al 1998 e ancora oggi, ai congressi nazionali, il banco di presidenza gli spetta di diritto, insieme con Gustavo Pansini. Non c’è neppure bisogno di una norma statutaria che lo spieghi: è semplicemente chiaro a tutti che deve essere così.

Insomma, Draghi fa bene a tenere la giustizia penale un po’ ai margini delle consultazioni.

L’intelligenza gli suggerisce di evitare motivi di rottura. D’altra parte ci sono altri temi così urgenti che l’opinione pubblica non comprenderebbe un’eccessiva enfasi sulla prescrizione o altre questioni del genere. Le risposte immediatamente necessarie riguardano il superamento, che sia il più celere possibile, delle restrizioni e la ripresa dell’economia.

La giustizia resterà sempre un tema così caldo da restarne scottati?

A dimostrare quanto sia difficile parlarne basta la chiusura opposta da Renzi al cosidetto lodo Orlando: mi pare emblematico dell’impossibilità di aprire discussioni.

Draghi se ne terrà lontano. Ma le scorie delle probabili tensioni in Parlamento potranno ostacolare anche lui?

Molto dipenderà dal nome del guardasigilli. Mi pare che, per fortuna, si guardi a figure orientate assai più verso la tutela delle garanzie che al giustizialismo, come Marta Cartabia e la stessa Paola Severino. Credo che ministri della Giustizia della loro levatura sapranno distinguere i temi praticabili da quelli che non lo sono.

Quali sono i praticabili?

Le modalità processuali da remoto, per esempio: c’era il rischio che sopravvivessero all’emergenza, che la norma eccezionale sia normalizzata come se nulla fosse. Penso alla discussione orale in appello prevista solo su richiesta del difensore. Con Bonafede c’era qualche serio pericolo che uno schema simile si cristallizzasse. Con Cartabia o Severino non ci sarebbe. Sulla prescrizione servirà una particolare abilità nel proporre soluzioni tecniche adeguate.

Ad esempio?

Intanto mi pare che la norma Bonafede sia considerata incivile da tutti, anche dal Pd. Incivile e disfunzionale, perché, col regime pregresso, in primo grado si cercava, almeno, di far presto. Ora si approfitterà del termine lasciato a disposizione di quella fase del processo. Un giudizio per bancarotta si prescrive in circa vent’anni: un testimone finirà per essere sentito anche dopo dieci anni, tanto che cambia? Peccato che così l’oralità e la parità delle parti nella formazione della prova vadano a farsi benedire. Una cosa incivile, appunto. Il che non vuol dire che la situazione precedente fosse perfetta. A volte, per il giudizio in Cassazione, restavano dieci giorni. La soluzione più sensata è la prescrizione per fasi, un limite massimo per ciascuna fase del procedimento.

I cinquestelle diranno che la vecchia prescrizione uscita dalla porta rientra per la finestra. A torto, perché non ci sarebbe più il rischio di reati che si estinguono solo perché scoperti troppo tardi.

L’alternativa è accelerare davvero i processi. Ma non con soluzioni utopistiche. Basta guardare al sistema americano. Lì, per il patteggiamento, non esistono le preclusioni previste da noi. Niente premi, sconti, ma applicazione di una pena compresa nei limiti minimi e massimi già fissati.

Presidente, seppure nella nuova fase politica ci fosse una maggioranza garantista, sconterebbe l’eccessivo giustizialismo diffuso ormai tra i cittadini?

Il nodo esiste. Avere un nemico aiuta, Vale per i partiti, vale anche per l’opinione pubblica, che identifica il nemico con l’autore di reati anche a bassa offensività. Non si può essere giustizialisti, ma temo ci si debba anche rendere conto che nel condurre le battaglie garantiste la realtà vada tenuta presente. Serve un altro linguaggio, un pragmatismo che arrivi a chiunque. Basterebbe spiegare che rispetto a un ergastolo inflitto dopo un processo di quindici o vent’anni, è assai meglio una condanna a trent’anni che però arriva più rapidamente. Serve anche a evitare l’innocente stritolato da un giudizio che ha solo la sua morte come limite invalicabile. Da noi è tutto distorto: il patteggiamento non funziona perché è precluso per i reati più gravi, mentre per quelli puniti con condanne meno pesanti i tempi troppo lunghi rendono preferibile attendere che il reato si prescriva.

Ma c’è tempo sufficiente per una riforma del processo efficace?

Una persona della levatura di Marta Cartabia, che sarebbe un eccellente guardasigilli, si renderebbe conto di come, anche senza riforme epocali, ci sia la possibilità di realizzare pochi ma efficaci interventi. Il patteggiamento senza limiti né sconti, riportare in tribunale i magistrati disseminati nei ministeri, fare in modo che negli uffici giudiziari non vi sia il deserto, una volta superate le ore 14.

In Italia sui garantisti pesa il pregiudizio Berlusconi?

Parte dell’opinione pubblica è diventata anti garantista in quanto anti berlusconiana. Io so bene che alcune leggi furono pensate e introdotte perché rientravano nella logica di una lotta politica fra il centrodestra e i magistrati di sinistra. Dopodiché qualcuno ha additato come legge ad personam persino quella da me proposta per impedire l’appello del pm sulle assoluzioni in primo grado.

All’epoca Berlusconi, in primo grado, non veniva assolto mai...

Appunto. Ma il caso è emblematico. La percezione diffusa del garantismo ne ha risentito. D’altronde alcune leggi erano necessarie sul piano politico: qualcuno vicino a Berlusconi ha voluto ammantarle di garantismo ma, ripeto, erano strumenti di lotta politica. Non c’erano alternative a un governo di centrodestra, se non il caos, puntualmente arrivato. Oggi dobbiamo sgombrare l’orizzonte del Paese da quel conflitto e restituire alle garanzie il loro valore universale.

È possibile?

A volte credo che la stessa espressione “garantismo” sia impropria. È semplicemente il diritto naturale, evocato dalla prima dichiarazione universale, da Voltaire, Beccaria. Diritti universali e necessari per vivere meglio. La Carta di uno Stato americano, precedente alla Costituzione, diceva che ha diritto di governare chi è capace di rendere gli altri felici. Ecco, la giustizia deve rispondere a un principio semplice: evitare di rendere gli altri infelici.