Donald Trump dovrà affrontare tra meno di 24 ore il processo di impeachment al Senato con l’accusa di «incitamento alla rivolta» in riferimento ai fatti del 6 febbraio al Campidoglio degli Stati Uniti, dove un gruppo di suoi sostenitori ha fatto irruzione per interrompere la certificazione del voto elettorale da parte del Congresso. Per l'ex presidente Usa è la seconda volta: un record assoluto. È stato «il più grave reato mai commesso da un presidente», stando ai manager dell’impeachment, i deputati dem che guidano l’accusa. Ma per i legali di Trump, «il vero obiettivo dei democratici è quello di "silenziare un oppositore con una sfrontata azione politica che è incostituzionale perché si tratta di un presidente non più in carica, che viola il Primo emendamento della Costituzione sulla libertà d’espressione e che è infondata perché l’attacco sembra sia stato pianificato prima del controverso discorso all’Ellipse del 6gennaio». Conclusa la presentazione di accusa e difesa, i senatori-giurati avranno quattro ore per presentare domande scritte alle parti, seguite da due ore di dibattito. A questo punto potrà essere avanzata la richiesta di presentare testimoni, che dovrebbe essere poi messa i voti. Se il Senato dovesse veramente decidere di ascoltare testimoni, si allontanerebbe l’ipotesi di un processo lampo, e maggioranza e minoranza dovrebbero negoziare un nuovo accordo per un programma che potrebbe durare ancora settimane. «Si apre un vaso di Pandora se si chiama anche un testimone», ha avvisato Lindsey Graham, senatore repubblicano che sta consigliando Trump sull’impeachment, sottolineando che se i democratici chiameranno i loro testimoni, anche i legali di Trump lo faranno paralizzando per settimane il Senato e la progressione dell’agenda legislativa dell’amministrazione Biden. Liberarsi politicamente di Trump piacerebbe tanto ai democratici quanto all’ala più moderata dei repubblicani. Ma la base conservatrice del Grand Old Party, quella "nazione rossa" che inondava i suoi comizi, resta saldamente trumpiana. L’assoluzione (e nel giorno di pochi giorni) viene data per scontata. Ai dem servirebbe l’appoggio di almeno 17 repubblicani per condannare Trump, in un Senato spaccato a metà, letteralmente fifty-fifty. Uno scenario improbabile. I repubblicani che votassero per la condanna, rischierebbero lo schianto alle primarie del 2022. La campagna per elezioni di metà mandato inizierà subito dopo il processo d’impeachment (se non è già iniziata) e il «fattore Trump» sarà cruciale nel definire le sorti dei candidati Gop. «Penso che Trump sarà il vitale leader del partito repubblicano. È molto popolare e sarà assolto», profetizza Lindsey Graham, fedele alleato di The Donald che ha collaborato con la sua squadra di difesa pur avendo criticato il discorso dell’ex presidente nel giorno dell’assalto al Capitol Hill. La difesa Gli avvocati dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ritengono che l’articolo di impeachment presentato contro di lui dalla Camera dei rappresentanti sia «costituzionalmente viziato». Lo riferisce il sito «Politico», citando uno scritto di 78pagine redatto dai legali che difendono dell’ex inquilino della Casa Bianca, secondo il quale l’articolo in questione viola la libertà di parola di Trump e non può portare alla sua condanna. I suoi avvocati sostengono che il Senato non possa condannare un presidente che ha terminato il suo incarico e che l’impeachment della Camera sia «viziato» perché raggruppa più presunti reati in un unico articolo. I legali, inoltre, respingono le affermazioni secondo cui Trump avrebbe esitato a prendere le dovute contro misure durante le violenze, a seguito delle quali hanno perso la vita cinque persone. Al contrario, secondo la difesa, durante l’assalto al Congresso c’è stata una «intensa attività all’interno della Casa Bianca» per «districarsi tra elementi procedurali complessi» al fine di ottenere maggiore sicurezza in Campidoglio. La posizione del Partito Repubblicano Il processo di impeachment di Donald Trump che inizia oggi al Senato «non è una perdita di tempo, è una questione di responsabilità: se il Partito repubblicano non prende una posizione, il caos di questi ultimi mesi, e degli scorsi quattro anni, potrà presto tornare». È quanto scrive il deputato repubblicano Adam Kinzinger in un articolo sul Washington Post che è un accorato appello ai suoi colleghi di partito al Senato affinché votino per la condanna dell’ex presidente accusato di aver istigato l’insurrezione del 6 gennaio. Il deputato dell’Illinois, che è stato uno dei 10 repubblicani che hanno votato per l’impeachment alla Camera, riconosce che «la stragrande maggioranza» dei repubblicani al Senato è convinta che il processo che parte oggi sia «una perdita di tempo, un teatrino politico che distrae da questioni più importanti». Ma non è così, avvisa, ricordando che «il futuro del nostro partito e del nostro Paese dipende da come affrontiamo quello che è successo in modo che non possa più succedere». Riguardo poi al merito delle accuse mosse all’ex presidente, il deputato ricorda che «il comizio di Trump che è sfociato nella rivolta a Capitol Hill non è venuto dal nulla, ma è il risultato di quattro anni di rabbia, vergogna e sfacciate bugie. Forse la più pericolosa, o almeno la più recente, è quella che le elezioni siano state rubate». I senatori Gop di fatto si son ogià espressi quando il mese scorso hanno votato in 45 su 50 a favore di una mozione che giudica incostituzionale il processo d’impeachment di Trump visto che non è più presidente. Alcuni giuristi concordano, come osserva il giornalista conservatore Byron York nella sua newsletter. «Presidente significa presidente» e Trump non è più in carica, segnala York citando l’Articolo secondo, quarta sezione della Costituzione. Il processo d’impeachment «serve a rimuovere» un presidente e non a punire un ex funzionario pubblico, prosegue l’analista, sottolineando la mancanza di precedenti, come indicato anche dai costituzionalisti John Yoo e Robert Delahunty. Ma è altrettanto vero, come sostengono i dem, che la Costituzione non proibisce l’impeachment di ex funzionari pubblici e dunque di ex presidenti.