Guerra alle specializzazioni forensi, il ritorno. Se si trattasse di un film, il titolo calzerebbe a pennello, ma la materia è ben più delicata. Si tratta del Decreto numero 163 del primo ottobre 2020, contenente il Regolamento per «il conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista», e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso dicembre dopo un iter lungo e complesso. Il decreto, infatti, modifica il precedente regolamento del 2015 che fu bocciato sia dal Tar che dal Consiglio di Stato in seguito a una prima “tornata” di impugnazioni da parte di alcuni Consigli dell’Ordine degli avvocati.

All’epoca, motivo di contestazione fu la suddivisione delle materie di specializzazione, mentre ora il regolamento rischia di tornare in Tribunale perché violerebbe la legge professionale. Ad annunciare ricorso al Tar è stato nei giorni scorsi l’Ordine degli avvocati di Roma che – a seguito di delibera unanime del 4 febbraio – ha «ritenuto di dover impugnare» il decreto con un’azione giudiziaria che sarà supportata anche dagli Ordini di Napoli e Palermo. Gli avvocati di Roma evidenziano «vari profili di illegittimità» del decreto, in particolare nella parte in cui questo prevede che la partecipazione degli Ordini alla formazione dei futuri specialisti sia vincolata alla stipulata di «apposite convenzioni con le associazioni specialistiche maggiormente rappresentative».

E ancora: «La disposizione regolamentare – scrivono gli avvocati capitolini - appare violativa dell’articolo 9 della legge 247/ 2012 ed ingiustamente offensiva e penalizzante per gli ordini che sono addirittura esclusi dal percorso formativo dei che sono addirittura esclusi dal percorso formativo dei futuri specialisti nei settori dove, non esistendo associazioni specialistiche maggiormente rappresentative, sono addirittura nell'impossibilità di stipulare convenzioni all'uopo abilitanti».

Veniamo quindi alle associazioni specialistiche, stabilite per legge, che rappresentano i maggiori settori di specializzazione: penale, civile e amministrativo. «Certamente non si può lasciare la formazione penalistica a nessun’altra Associazione e tantomeno ai Consigli dell’ordine, bisogna che ci sia un controllo», spiega Paola Rubini, componente di giunta dell’Unione Camere Penali Italiane (Ucpi) e direttore della Scuola Nazionale di Alta formazione specialistica dell’avvocato penalista. L’Ucpi è infatti l’unica associazione italiana che abbia il «monopolio sulla formazione dell’avvocato» in materia penale, precisa Rubini. Ed è necessario «che qualsiasi ente rappresentativo dell’avvocatura che debba organizzare un corso che riguardi la specializzazione nella materia penale, passi per l’Ucpi», aggiunge.

Di simile avviso il Presidente dell'Unione Nazionale Camere Civili (Uncc), Antonio De Notaristefani, che non nasconde un «minimo di rammarico» per l’azione promossa dagli ordini forensi. «Ho grande rispetto della loro decisione – premette De Notaristefani - ma c’è un profilo che non riesco a condividere: non credo che l’eventuale collaborazione tra Consigli dell’Ordine e Associazioni specialistiche limiti l’autonomia di ciascuno». Senza tralasciare - sottolinea - l’importanza che il riconoscimento di un titolo specialistico riveste per il futuro dei giovani avvocati, verso i quali è orientato il regolamento. «A mio parere la collaborazione aumenta le possibilità di tutti, ma non limita le potenzialità di nessuno. Dalla collaborazione, infatti, non possono che derivare benefici agli iscritti», aggiunge il presidente dell’Uncc che si augura una “riconciliazione” a prescindere dall’esito del giudizio. «Spero che trascorsa la stagione dei ricorsi, si possa arrivare a quella collaborazione che era nello spirito della legge, cioè che ciascuno contribuisca per la parte di sua competenza. Ciò che mi lascia perplesso è che prima ancora di tentare la collaborazione, si ricorra al giudizio del tribunale», conclude De Notaristefani.

A sottolineare una certa «opposizione preconcetta» degli ordini professionali è anche il Presidente Nazionale degli Avvocati Giuslavoristi Italiani (Agi), Aldo Bottini, che per commentare la notizia parte dal sottolineare che "l'asse” dei ricorrenti – Roma, Napoli e Palermo - è lo stesso che promosse le azioni giudiziarie in seguito alle quali il Consiglio di Stato annullò il regolamento del 2015. «Sembra che ogni volta che si arriva alla soglia di applicazione pratica della specializzazione forense, ci sia la volontà di una parte dell’avvocatura - sempre la stessa, che si rivolge all’autorità giudiziaria – di impedire che il regolamento venga finalmente attuato», aggiunge Bottini che si dice stupito dei rilievi sollevati: è la legge, nella parte in cui elenca le attribuzioni dei consigli dell’Ordine, a stabilire che le convenzioni siano stipulate «di intesa» - e cita - con le associazioni specialistiche. «Le motivazioni per cui si ricorre - conclude il presidente di Agi - introducono anche delle contrapposizioni tra ordini e associazioni che invece dovrebbero agire all’unisono nel comune interesse dell’avvocatura».