Da una parte il conflitto sulla prescrizione. Dall’altra il guardasigilli di un governo Draghi, che dovrebbe essere estraneo ai partiti. «Sembra un’antitesi irriducibile. Ma io credo che si imporrà necessariamente una chiave di lettura tecnico- organizzativa sui problemi della giustizia, in grado di superare i conflitti ideologici. La priorità è liberarsi dell’arretrato e degli ostacoli alla veloce definizione delle cause, civili innanzitutto ma anche penali. Chi siederà a via Arenula avrà un simile argomento per sottrarsi ai contrasti ideologici». Cesare Mirabelli è presidente emerito della Corte costituzionale. Al pari di Marta Cartabia, che resta il nome evocato con maggiore insistenza per il ministero della Giustizia. L’ex vertice della Consulta, che è stato anche vicepresidente del Csm, non intravede il rischio di una paralisi, per via Arenula, dovuto all’eterno coinflitto sulle garanzie e sulla prescrizione.

Presidente Mirabelli, lei dice che la natura tecnica dei problemi oscurerà l’esasperazione politica?

Parto dalla prescrizione. Un principio importante. Ma che acquista una sua urgenza in virtù di un tradimento della Costituzione.

In che senso?

L’articolo 111 della Carta non parla della ragionevole durata del processo semplicemente come un ideale a cui tendere: istituisce un obbligo di risultato, da conseguire attraverso la legge. Lo Stato deve necessariamente assicurare al cittadino un giudizio rapido. Chiunque sia accusato di un reato deve avere il diritto a un accertamento di durata non irragionevole, altrimenti il processo stesso si trasforma in una pena e nel frattempo la vita, l’attività della persona accusata, vengono compromesse. Ciò detto, cosa serve per evitare processi troppo lunghi? Organizzazione e smaltimento dell’arretrato.

E quindi un guardasigilli “di alto profilo” dovrebbe rispedire al mittente il clima rissoso e far valere le priorità da lei evocate?

Guardi, se nascesse un nuovo governo, credo che una cosa molto utile sarebbe definire, nel giro di trenta giorni al massimo, un libro bianco sui problemi della giustizia. Emergerebbero elementi così preziosi, urgenze così chiare, che si imporrebbero come priorità.

Quali sono le chiavi per superare l’inefficienza?

Digitalizzazione e uniformità delle interpretazioni. Nel primo caso, non basta informatizzare l’amministrazione della giustizia dal punto di vista interno. Serve anche uno sviluppo condiviso, la cosiddetta co- creazione. Deve essere digitalizzata il più possibile l’attività degli avvocati che sono componente organica del sistema e che anzi vanno coinvolti nelle scelte. Così come serve efficienza digitale in quelle centrali, in quegli enti a cui rimanda una percentuale rilevante del contenzioso. Ad esempio, il 40 per cento degli affari trattati in Cassazione è di natura tributaria: serve innanzitutto uniformità e possibilmente trattazione omogenea del contenzioso seriale. Cambia il fatto ma il principio di diritto è comune a moltissime cause. Il 30 per cento delle controversie di lavoro ha un contenuto previdenziale, cioè chiama in causa l’Inps. Vorrà dire o no che nei rapporti e nello scambio di informazioni con l’istituto c’è un problema?

D’altra parte non è semplice creare prevedibilità nelle decisioni.

Oltre all’efficacia dell’infrastruttura, serve infatti certezza nell’interpretazione. E qui è da parte della Suprema corte può esserci un contributo maggiore.

Non sempre la Cassazione aiuta a creare una giurisprudenza uniforme?

Ci sono conflitti fra sezioni, ma anche all’interno della stessa sezione. È chiaro che una simile circostanza incoraggia anziché deflazionare il contenzioso.

Il Cnf propone il potenziamento della giustizia alternativa e complementare, per smaltire l’arretrato: è d’accordo?

Gli strumenti di definizione alternativa sono utili, e diverse cause civili possono essere mandate in mediazione anziché a sentenza. Penso che vada incoraggiato il ricorso a tali soluzioni, senza però renderlo vincolante. Credo in una combinazione di diversi elementi, quindi anche al già previsto ricorso a giudici aggregati. Ci si deve rendere conto che ad oggi il sistema giustizia, nonostante un organico scoperto per il 15 per cento, ha raggiunto una capacità di definizione dei giudizi che supera seppur di poco i nuovi ingressi. Cosa vuol dire? Che la lentezza è dovuta solo all’arretrato, pari esattamente al doppio delle cause che si riesce a smaltire. Ergo, nel civile il peso del vecchio contenzioso rallenta esattamente di un anno la durata media delle cause. Aggredire l’arretrato basterebbe a fare un balzo enorme in termini di efficienza.

Lei dice che tutto questo prevarrà sulle liti per la prescrizione?

Prevale in termini oggettivi. Anche perché i reati non andrebbero in prescrizione, se la durata fosse ragionevole. Non si può essere eterni giudicabili, è evidente. Ma ripeto: a me pare che la priorità delle questioni di sistema sia tale da doversi imporre per forza sui conflitti ideologici. Che vanno rispettati, ma non possono ostacolare tutto il resto.