Il caso giudiziario dell'ex presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva torna davanti alla Corte Suprema dopo nuove rivelazioni della polizia federale: il giudice Sergio Moro, allora a capo dell'operazione anti-corruzione Lava Jato, avrebbe aiutato il pubblico ministero Deltan Dallagnol a istruire la causa contro Lula. In quel processo, l'ex presidente brasiliano fu condannato a otto anni e dieci mesi di carcere con l'accusa di corruzione, per poi essere rilasciato a novembre del 2019 dopo oltre 500 giorni di detenzione. Già allora le chat tra i due magistrati scatenarono un terremoto politico, a seguito dello scoop del sito di inchiesta "The Intercept" che aveva pubblicato il contenuto della corrispondenza tra i due. In quell'occasione a intercettare i messaggi erano stati alcuni hacker, che li avevano poi forniti ai giornalisti, ed essendo stati acquisiti illegalmente, non erano utilizzabili contro i protagonisti delle conversazioni. Mentre ora è la stessa polizia federale - nel tentativo di scovare gli hacker - ad essere entrata in possesso del contenuto completo di quelle chat. Che potrebbero rimettere in discussione l'intero processo: la difesa di Lula ha infatti chiesto e ottenuto di visionare i messaggi dalla Corte Suprema, che si pronuncerà sul caso entro giugno. I colloqui tra magistrato giudicante e il pm violano infatti l’articolo 254 del codice del processo penale brasiliano, consentendo alla difesa dei condannati in quei processi di considerare il giudice «sospetto di non essere imparziale». E di chiedere quindi l’annullamento del giudizio. Stando a quanto riporta il quotidiano Avvenire, la comunicazione tra il pm e il giudice sarebbe durata per anni, tra il 2015 e il 2017, con quest'ultimo che «arrivava a suggerire strategie e fonti da interrogare». Lo scoop di "The Intercept" L'inchiesta di Sergio Moro - l’ex giudice sceriffo diventato ministro della giustizia, nemico mediatico di Lula - aveva spalancato prima delle elezioni dell’ottobre del 2008 le porte del carcere all’ex presidente brasiliano, candidato favorito secondo tutti i sondaggi, liberando così la strada per il Planalto all’allora candidato di estrema destra e attuale presidente Jair Bolsonaro. Ma quel giudice «non era imparziale»: è questa l’accusa emersa dallo scoop clamoroso del sito Intercept Brasil, diretto dal giornalista statunitense Glenn Greenwald, quello del caso Snowden. Il sito d’inchiesta aveva pubblicato il contenuto di parte dei messaggi audio scambiati tra l’attuale ministro ai tempi in cui era ancora giudice di prima istanza a Curitiba, chiamato a giudicare le prove portate dalla pubblica accusa nel processo contro Lula da Silva, e il coordinatore della pubblica accusa Deltan Dallagnol. La legge vieta ovviamente al giudice di interferire nella acquisizione delle prove che poi sarà chiamato a giudicare. I due, si deduce con evidenza dal contenuto dei messaggi, si scambiano invece infinite informazioni. Moro spiega ai pm cosa devono raccogliere e cosa no. Si dice insoddisfatto dell’evidenza di una prova. Suggerisce mosse, indica errori, detta i passi dell’indagine. Gioisce per il successo mediatico e per le ricadute politica dell’inchiesta. Si complimenta via chat con se stesso e con il pm per il repulisti provocato. «Complimenti a tutti noi» scrive. Le accuse, sempre passate al vaglio dell’allora giudice Moro, di questo secondo processo sono molto simili a quelle per cui hanno condannato Lula per corruzione passiva e riciclaggio di denaro. Si tratta sempre di una casa vicino a San Paolo messagli a disposizione, secondo l’accusa, da una grande azienda in cambio di contratti di favore con imprese di Stato. Stavolta non un appartamento sulla costa, ma una casa di campagna. La denuncia della pubblica accusa accolta a suo tempo da Moro parla di una ristrutturazione del valore di 280 mila dollari pagata interamente dalle imprese di costruzione Odebrecht, Oas e Schahin, in cambio di contratti con l’impresa petrolifera statale Petrobras. La villa è stata frequentata dalla famiglia di Lula, ma non è di sua proprietà. Lo sarebbe “di fatto” secondo i pm. Secondo la difesa le accuse “si riferiscono a contratti firmati da Petrobras che lo stesso giudice ha riconosciuto, in un’altra sentenza, non aver portato nessun beneficio a Lula”.