«Sui fatti qui descritti da Luca Palamara e Alessandro Sallusti chiederemo una commissione d’inchiesta parlamentare», ha tuonato Matteo Salvini, dopo l’ennesima ospitata di Luca Palamara per raccontare quel “sistema” che lo ha portato prima ai vertici, puoi fuori dalla magistratura. Una proposta che qualche ora prima era stato Andrea Ostellari, senatore leghista e presidente della seconda commissione permanente Giustizia, a rilanciare, prendendo in prestito le parole di Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto a Venezia.

Quanto dichiarato da Palamara rende «necessario un esame dettagliato, completo e imparziale delle dinamiche interne dell'Anm, del Csm e dei loro rapporti», ha affermato il magistrato. Un esame, ha spiegato Ostellari al Dubbio, al quale «non può essere estraneo il Parlamento, attraverso l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta che dia la possibilità di un giudizio completo, necessariamente imparziale. E in questa commissione, con i poteri di una commissione d’inchiesta e quindi anche inquirenti, si può ricostruire sin dall’inizio il sistema così come è stato raccontato da Palamara, se così è. Perché il dramma, fino ad oggi, è che Palamara non è stato smentito».

Non ci sono state querele, se non quella del procuratore aggiunto Paolo Ielo, ma solo smentite verbali. Questo vuol dire che Palamara sa più di quel che dice?

Evidentemente sì. La cosa strana è l’apparente silenzio attorno a questa vicenda. Magari è coperto dalla crisi attuale del Paese dal punto di vista politico. Parlare di governi, maggioranze, ministri e ministeri appare un po’ fuori luogo di fronte alle difficoltà degli italiani - sanitarie ed economiche - e a quelle legate alla Giustizia, duramente colpita da questa vicenda. Abbiamo l’obbligo di intervenire ed è per questo ho anche sollecitato il Presidente della Repubblica, che è garante anche del nostro sistema giudiziario, affinché dica qualcosa, oltre quello che ha già detto. Si deve prendere coscienza di questo tema, che deve essere essenziale anche e soprattutto per il prossimo governo, qualunque esso sia.

Un ddl di riforma sull’ordinamento giudiziario c’è già. Secondo lei quale sarebbe la soluzione migliore affinché il sistema descritto da Palamara venga disinnescato?

Non sono il solo a dirlo, lo dicono anche tanti magistrati, come Nordio: non si può intervenire se non attraverso il sistema del sorteggio. Quantomeno un sorteggio primario, che consenta di effettuare poi un’elezione sulla base di una platea di nomi che siano stati prima estratti a sorte.

Una proposta che, pochi giorni fa, ha ribadito anche il deputato Pierantonio Zanettin, che ha ricordato la proposta già presentata da Forza Italia per il sorteggio temperato.

Può essere una base di partenza, in ogni caso, in questo momento storico, non possiamo farne a meno per risolvere il problema delle correnti interne al Csm. Peraltro, lo stesso Palamara ha detto che uno dei sistemi più osteggiati dai magistrati era proprio quello del sorteggio. Evidentemente siamo sulla strada giusta.

Che fine fa la meritocrazia?

Non corre alcun rischio, perché il sorteggio avviene sulla base di un corpo qualificato, i magistrati, persone alle quali noi chiediamo di svolgere una funzione importantissima. Tra l’attuale sistema e quello del sorteggio, credo che i cittadini siano più garantiti dal secondo.

Ha avuto modo di confrontarsi con gli altri partiti?

No, ma penso che il tema della giustizia non debba essere ideologico. Va visto nel complesso di un Paese che adesso ha l’assoluta necessità di ripartire. Per farlo ha bisogno di un governo adeguato, forte, competente e che deve decidere se vuole investire sulla giustizia o se la intende come un costo. Io credo che debba essere considerata un grande investimento, che peraltro ha un ritorno in termini economici e di credibilità.

La giustizia d’altronde è il nodo fondamentale di questa crisi politica.

Di più: sulla giustizia, nella sola diciottesima legislatura, sono caduti due governi e questo perché evidentemente c’è qualcuno che non ha fatto ciò che doveva fare e mi riferisco al ministro Bonafede. Nel primo governo non ha saputo presentare una riforma condivisa della giustizia penale, civile e tributaria. Non c’è stata una visione. Quel governo è caduto perché c’era una contrapposizione netta tra chi vedeva la giustizia come uno strumento per arrivare ad un’idea di giustizialismo eccessivo e chi, invece, intende la giustizia come un sistema garantista. La stessa cosa è accaduta anche nel governo attuale: alla fine le anime più garantiste si sono manifestate. Lo scontro sul tema della prescrizione manifesta proprio l’esigenza di dibattito che è mancato. Qualcuno dovrebbe anche ricordare che i temi di riforma della giustizia sono tuttora fermi, incompleti. Ma non perché esiste un’opposizione che fa il proprio mestiere, ma perché evidentemente la stessa attuale maggioranza non è d’accordo sulle basi di quella che dovrebbe essere la riforma. Ma se non ci credono loro, chi ci deve credere?

Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale Salvi ha sottolineato la crisi di credibilità della magistratura ma ha anche rivendicato le azioni disciplinari. La magistratura ha reagito adeguatamente?

Sono assolutamente convinto, e lo dico anche da avvocato, che la stragrande maggioranza dei magistrati siano alla ricerca di ritrovare una sana autonomia e una necessaria voglia di riprendere quella che è la loro funzione, necessaria nei confronti della gestione di questo sistema. Non si deve fare l’errore di fare di tutta l’erba un fascio. L’errore che è stato commesso da pochi non deve ricadere sulle spalle della stragrande maggioranza di magistrati che lavorano in silenzio, che non sono accecati dal poteri e che svolgono una funzione difficilissima, senza quella sete di rappresentanza che si è vista con il caso Palamara.

Palamara però fa un parallelismo interessante: il sistema descritto per la magistratura è sovrapponibile a quello della politica, in termini di accordi e spartizione di posti di potere. Ha torto?

Questo evidentemente è quello che faceva lui e pochi altri. Così come non credo che i magistrati abbiano bisogno di rincorrere il fascino della rappresentanza, delle stanze del potere, credo che la politica si debba occupare del proprio ambito e cercare di rispondere attraverso progetti di legge e proposte.

Ma c’è una certa fragilità della politica a fronte della magistratura? Crede nelle inchieste ad orologeria?

Non ci credo e non ci voglio credere. Se ci sono stati episodi lo vedremo, magari proprio grazie alla commissione d’inchiesta. Però credo che tutte queste situazioni, anche dentro la politica, vadano risolte con la qualità. Dobbiamo investire su quello, in termini di persone e di idee. E non ci si deve preoccupare di altro, ma del Paese, dei bisogni dei cittadini e di fare ciò che ci si aspetta da chi occupa queste delicate posizioni.