Correva l’anno 1988, le impressioni di settembre stavano per volgersi quasi al termine quando Mauro Rostagno, l’uomo vestito di bianco, e con immense e gioiose “lotte continue” alle spalle, viene ucciso tra le ore 20,00 e le ore 20,15, in una strada buia e isolata. La stava percorrendo, a bordo della sua autovettura in compagnia della collaboratrice Monica Serra, per fare rientro alla comunità “Saman”, comunità terapeutica per il recupero di tossicodipendenti che – visto il suo approccio libertario - era agli antipodi di quella di San Patrignano. La “Saman” era da lui gestita assieme alla compagna Elisabetta (Chicca per gli amici) Roveri e a Francesco Cardella. Rostagno viene vigliaccamente raggiunto alle spalle e alla testa da due colpi di fucile semiautomatico calibro 12 e, ancora alla testa, da due colpi di pistola calibro 38. Un "delitto eccellente" Sono dovuti passare 32 anni per arrivare alla nuda e cruda verità sull’uccisione di Mauro Rostagno. Ovvero che rientra tra i “delitti eccellenti” della mafia. E Rostagno, eccellente lo era. Decenni di fantasiose piste che sembrano essere dei veri e propri depistaggi per allontanare la matrice mafiosa del vile agguato. Sì, perché in questo strano Paese non si comprende il motivo per cui, invece di individuare subito i mafiosi, il più delle volte si pensa di percorrere piste alternative poi rivelatesi del tutto infondate. Nel caso di Rostagno sono state tre: la pista interna alla comunità di recupero “Saman” e incentrata sulla figura del cofondatore Francesco Cardella. La pista politica connessa agli ambienti di "Lotta continua" in cui Rostagno aveva militato e mai rinnegato e, infine, la pista internazionale, legata a un traffico di armi e connessa alla successiva vicenda dell'omicidio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La sua compagna, Chicca Roveri, finita in prigione Piste che hanno anche creato dolore e sofferenza. Basti pensare a Chicca Roveri, la compagna di Mauro, che è finita perfino in prigione. Il motivo? Secondo l’allora procuratore di Trapani, Rostagno era stato ucciso dagli ex di “Lotta continua”, con la complicità di Chicca Roveri, per impedire che rivelasse segreti scomodi al processo contro Adriano Sofri e i presunti assassini del commissario Calabresi. E i giornali? Da parte delle procure senza se e senza ma. Senza insinuare un minimo dubbio, hanno sbattuto il mostro a prima pagina. Non solo. I giornalisti Giuseppe D'Avanzo e Attilio Bolzoni avevano dato tempestivamente alle stampe il libro: “Rostagno: un delitto tra amici”. Quarta di copertina: “Diranno che l'ha ucciso la mafia, o qualche spacciatore, oppure un amante deluso, ma niente di tutto ciò racconterà la vera storia di Mauro Rostagno”. Ovviamente tutto falso, l’accusa crollò e, a onor del vero, va dato atto che D’Avanzo chiese scusa. Pochi l’hanno fatto. D’altronde, nonostante l’evidente infamità della pista interna, a distanza di anni, nel 2011, due cronisti de Il Fatto hanno rispolverato le piste interne collegandole nuovamente al delitto Calabresi. In sostanza Rostagno sarebbe stato ucciso dai suoi ex compagni perché avrebbe appreso “la verità”. Eppure i cronisti avrebbero dovuto ascoltare cosa disse Rostagno attraverso la sua tv, Rtc, e con un comunicato all’agenzia Ansa. Il legame politico e di amicizia con Adriano Sofri Aveva espresso solidarietà al suo amico e compagno Adriano Sofri, respingendo le accuse di essere stato il mandante dell’omicidio Calabresi. Non ci sono zone d’ombra, tutto è molto netto e chiaro nelle sue parole. Così com’è chiaro il suo legame non solo politico, ma di profonda amicizia con i suoi ex compagni di “Lotta Continua”. Ed è una amicizia così indissolubile che non si è recisa con la sua morte, ma è proseguita attraverso i famigliari, a partire dalla figlia Maddalena. Basti pensare ad Adriano Sofri che l’ha accompagnata passo dopo passo lungo questo tortuoso percorso. Ma ora arrivano le motivazioni della Cassazione. Questo dopo ben due lunghi processi nei quali, finalmente, si è accertata la verità dei fatti ascoltando testimoni, analizzando le prove, indizi e soprattutto ripercorrendo tutto il forte impegno antimafia di Mauro Rostagno, quale giornalista di inchiesta presso l'emittente televisiva trapanese Radio Tele Cinema (Rtc). Proprio questa sua attività ha posto in crisi il sistema di potere criminale imperante in quel territorio, che faceva capo al rappresentante della provincia Francesco Messina Denaro e ai capi-mandamento di Trapani e Mazara del Vallo, rispettivamente Vincenzo Virga e Francesco Messina ("Mastro Ciccio"). Quello di Mauro Rostagno fu un omicidio di mafia Ormai non c’è alcun dubbio: la Corte Suprema ha confermato l'ergastolo per il boss Vincenzo Virga, accusato di essere il mandante dell'uccisione di Rostagno, su input del padre del super latitante Matteo Messina Denaro, in un contesto decisionale totalmente mafioso che esclude, com’è detto, "piste alternative" o "ripensamenti". Respinto invece il ricorso della Procura di Palermo contro l’assoluzione pronunciata in appello in favore del presunto killer Vito Mazzara. Il Pg della Suprema Corte aveva chiesto di annullare il proscioglimento. Come l’altro omicidio eccellente, quello di Piersanti Mattarella, non si è individuato con certezza l’autore materiale del delitto. Gli interessi di Cosa nostra per gli appalti Tanti gli interessi mafiosi in ballo, soprattutto in un contesto dove la mafia corleonese di Riina si è affermata soppiantando con il sangue quella vecchia e dove, nel territorio del trapanese, Matteo Messina Denaro era un referente importante anche per la gestione degli appalti. Tutto ciò è riscontrato soprattutto dalle deposizioni del pentito Vincenzo Sinacori, che ha fatto i nomi delle aziende coinvolte, compreso i nomi come Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei lavori pubblici”, e Giuseppe Lipari, colui che curava gli appalti per conto di Bernardo Provenzano. Ed è lì che c’era Paolo Borsellino, già sotto la mira della mafia, avendo quest’ultimo, già dalla fine dell’86, anno in cui prestava servizio presso la Procura di Marsala, dimostrato la tempra di magistrato che con ostinazione continuava ad applicare gli stessi penetranti metodi investigativi, già sperimentati ai tempi in cui, insieme a Giovanni Falcone, era stato componente del pool dell’Ufficio Istruzione di Palermo. I rapporti tra Rostagno e Paolo Borsellino Non è un caso che Rostagno ha avuto contatti con Borsellino. Come non è un caso che, come ha testimoniato Chicca Roveri, il giudice Borsellino ha fatto visita alla comunità “Saman” il giorno dopo l’omicidio. Ed è bello apprendere che, in seguito, Roveri e Borsellino fecero degli incontri con gli studenti in varie scuole per parlare dei temi della legalità.Non a caso, l’uccisione di Mauro per ordine di Messina Denaro, era stato accolto con favore da Totò Riina. Durante il processo di primo grado, inizialmente il pentito Giovanni Brusca non rammentava le parole esatte pronunciate da Rina. È stato il giudice Angelo Pellino, all’epoca presidente della corte d’Assise di Trapani, a ricordargliele attraverso una contestazione di un interrogatorio risalente al 1997. Il concetto è che per Riina, il giornalista Rostagno «era un problema per quel territorio e che i mazzaresi o i trapanesi sapevano di quello che stavano facendo e finalmente avevano chiuso questo conto, avevano tolto di mezzo questa persona», «Che era un disturbo continuo per Cosa Nostra». Un disturbo e quindi andava eliminato. Un delitto, appunto, di chiara matrice mafiosa. Chissà se, com’è accaduto con la scoperta del depistaggio nei confronti della strage di Via D’Amelio, si appurerà chi, come e perché ci sono voluti 32 anni per ottenere la verità che era già sotto gli occhi di tutti. A Mauro Rostagno, l’uomo che appare nelle foto sempre sorridente e che con ironia massacrava la mafia e compiacenti, glielo dobbiamo tutti.