La strada è in salita e lastricata di insidie. Ma il Conte Ter, all’avvio di consultazioni del presidente Roberto Fico, è il campo di gioco di partenza. Pd e M5S continuano a blindare l’avvocato: per il capo politico pentastellato Vito Crimi, Conte è «indiscutibile»; secondo il segretario dem Nicola Zingaretti, il premier uscente «è la sola personalità capace di raccogliere i consensi necessari». È tutto da vedere se lo schema resterà lo stesso alla fine della partita. Matteo Renzi non scioglie il nodo della premiership. Il leader di Iv è disposto a trovare una mediazione sui temi, garantisce «lealtà» ma chiede un documento scritto «che tolga alibi a tutti». E tiene ancora le carte coperte sul futuro di Conte: «Non abbiamo parlato di nomi, vengono dopo». I 5 Stelle - divisi sulla scelta di tornare al governo con i renziani - guardano con sospetto alle mosse del senatore di Rignano: «Di Renzi non mi fido», dice un big grillino sintetizzando il mood interno, nel giorno in cui i principali gruppi della maggioranza giallorossa vengono ricevuti dal presidente della Camera Roberto Fico nell’ambito delle consultazioni. Stessa diffidenza tra i dem. Con il segretario Zingaretti che richiama tutti a quella «lealtà», citata da Renzi per assicurarla ma anche per dire che fin qui non tutti lo hanno fatto: «Per noi la lealtà è dire nelle riunioni private quello che si dice in pubblico». Insomma, tanto ancora da chiarire. A partire appunto dal nodo Conte. Ma sebbene lo sbocco della crisi non sia ancora all’orizzonte, nei desiderata delle forze politiche già prende forma una possibile squadra di governo. Un dato certo è che per Matteo Renzi, qualora dovesse accettare di nuovo Conte premier, la premessa è innanzitutto Alfonso Bonafede fuori dal ministero della Giustizia. Ne sono consapevoli i 5 Stelle che considerano quasi ineluttabile l’addio di Bonafede a Via Arenula in caso di permanenza dell’avvocato a Palazzo Chigi. Sul resto, però, i grillini provano a tenere. Spostamenti di caselle, magari, ma senza stravolgere la delegazione di governo. Prendi esponenti ’contianì come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, e il titolare del Mise, Stefano Patuanelli. Il primo potrebbe essere dirottato all’Ambiente, ’sacrificandò il tecnico Sergio Costa. Per quanto riguarda Patuanelli, invece, fonti grilline raccontano all’Adnkronos che il capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo avrebbe dato disposizioni interne per l’addio: fare gli scatoloni, insomma. Ma questo non comporterebbe automaticamente l’uscita di scena dell’ingegnere triestino: Patuanelli potrebbe infatti traslocare al Mit, ministero per cui viene ipotizzato uno "spacchettamenta" tra Trasporti e Infrastrutture. Esiste poi una schiera di sottosegretari M5S che scalpitano per fare il ’saltò, mentre la strada per eventuali outsider è molto stretta. Si parla del possibile ingresso dell’ex capogruppo al Senato, Gianluca Perilli, come sottosegretario alla Giustizia al posto di Vittorio Ferraresi. Restando sempre nel campo delle ipotesi, nel caso in cui Conte dovesse farcela per la terza volta, tra i parlamentari dem vengono considerati inamovibili Lorenzo Guerini e Dario Franceschini, in quanto leader di due forti aree del Pd - Base Riformista e Areadem - proprio nei gruppi di Camera e Senato. Beppe Provenzano potrebbe vedere a rischio il dicastero, visto che potrebbe entrare a far parte della nuova compagine il leader della sua componente, Andrea Orlando. Con un incarico di primo piano, perché difficilmente sarà "sfilato" a Franceschini il ruolo di capo delegazione. In bilico Paola De Micheli, possibile la permanenza di Francesco Boccia. Per Enzo Amendola, nonostante il ministro delle Politiche Ue sia apprezzato da tutti i dem e dal segretario Zingaretti, potrebbe aprirsi una nuova strada, quella di candidato sindaco di Napoli. Nel caso di Leu, il capo delegazione e ministro della Salute, Roberto Speranza, manterrebbe il suo ruolo portando avanti il lavoro sul versante sanità e pandemia. E infine Italia Viva. Se alla fine Renzi dovesse "ingoiare" il Conte Ter alzerà il prezzo su contenuti e squadra di governo. I nomi più gettonati per l’ingresso al governo sono quelli di Ettore Rosato, Maria Elena Boschi e Luigi Marattin. Boschi però resta un tasto dolente per i 5 Stelle, che preferirebbero un upgrade parlamentare come vicepresidente della Camera al posto di Rosato. Tra le caselle ’attenzionatè dei renziani quella di Lucia Azzolina, ovvero la Scuola, le Infrastrutture e lo Sviluppo Economico. C’è infine il Mef, che occupa un capitolo a parte nella storia di questa travagliata crisi di governo. Oltre a Bonafede e Azzolina, il fuoco dei renziani punta anche su Roberto Gualtieri. Per molti nel Pd sarebbe quantomeno inopportuno un avvicendamento a Via XX Settembre visto che fin qui è stato Gualtieri il volto dell’Italia in Europa sul Recovery. Iv però spinge un cambio e vorrebbe un tecnico di spessore per la casella dell’Economia. Tra i nomi quello di Fabio Panetta, ora in Bce e vicino a Mario Draghi. Intanto Palazzo Chigi continua a tacere: «siamo muti», ribadisce lo staff del premier dopo aver smentito le ricostruzioni riportate da alcuni quotidiani. Le lancette dell’orologio, per un attimo, sembrano riportare al Conte 1, quando il premier era chiamato a vigilare sul contratto stretto tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. La differenza da lì ad ora è che Conte, in questi 32 mesi, si è ritagliato uno spazio tutto suo, «non accetterebbe mai di fare il notaio», confida chi lo conosce bene, «ma il programma che definiranno sarà una base di partenza, non un pacchetto chiuso», la lettura che viene data. A Montecitorio - dove si è spostata la partita - le forze di maggioranza accelerano dunque sul patto di legislatura, un patto da mettere nero su bianco per arrivare al 2023 e uscire dal vicolo cieco in cui il leader di Iv sembra aver cacciato il governo. Il M5S riunisce i membri delle diverse commissioni per indicare le priorità, i temi su cui convergere. Unica certezza, al momento, è che il no al Mes non verrà messo in discussione. Il Partito democratico attende di conoscere nel dettaglio quali saranno le forme che il presidente della Camera, Roberto Fico, intende dare al tavolo di confronto sul programma di legislatura. Il segretario dem Nicola Zingaretti, nel frattempo ha pronta la lista delle cose da fare: chiusura del percorso decisionale del Next Generation Eu, la sua attuazione e il varo delle riforme collegate; la riforma fiscale, all’insegna di un giusto elemento di progressività e semplificazione del fisco; la riforma della giustizia che coniughi diritti costituzionali e tempi congrui del processo; un pacchetto di riforme istituzionali, prima fra tutta la nuova legge elettorale di stampo proporzionale su cui si era registrata una convergenza; le riforme legate alle politiche attive sul lavoro; le infrastrutture sociali a cominciare dal rilancio del modello sanitario; interventi per scuola, ricerca e università; il tema del commercio, del turismo, del terziario, duramente coliti in questi mesi di pandemia. Fuori rimane il Mes, che i Cinque Stelle chiedono di accantonare per favorire così la nascita del nuovo esecutivo, ma su cui Italia Viva chiede il confronto dicendosi aperta a trovare «fonti di risorse» alternative, come spiega Ettore Rosato. Quello su cui tanto il Pd quanto i Cinque Stelle non arretrano è il nome di Giuseppe Conte quale perno e punto di equilibrio della maggioranza. Un punto di equilibrio da cui è necessario ripartire, per Zingaretti, non fosse altro che per la fiducia accordata appena pochi giorni fa dal Parlamento al premier dimissionario. Un principio ribadito da Goffredo Bettini, esponente della direzione dem e pontiere fra le forze politiche di maggioranza e non solo. Conte, sottolinea Bettini, è l’unica soluzione al momento perchè «ha lavorato bene e ha riportato l’Italia nella sua collocazione europeista, ha già ottenuto la fiducia alla Camera e ha un larghissimo consenso al Senato». Senza Conte, la strada indicata dal Pd è quella delle elezioni anticipate, a giugno. Una linea Maginot ratificata dalla direzione nazionale del partito, ma di fronte alla quale non mancano i mugugni all’interno dei gruppi parlamentari. Il deputato e capogruppo del Partito Democratico in commissione giustizia, Alfredo Bazoli, si chiede su Twitter «quando Bettini va su giornali e tv a spiegare la strategia del Pd esattamente a nome di chi parla? Di se stesso? Della sua corrente? E in quale veste? Semplice militante? Segretario facente funzione? Così mi regolo». Uno sfogo «personale» dicono da Base Riformista, corrente del Pd alla quale Bazoli aderisce, ma che - viene riferito - si esprime solo per voce dei suoi leader e portavoce, Luca Lotti, Lorenzo Guerini, Andrea Romano e Alessandro Alfieri. Solo ieri, infatti, Base Riformista ha riunito i suoi aderenti «ribadendo la piena condivisione degli orientamenti manifestati da Nicola Zingaretti e dalla delegazione del Pd nella gestione della crisi, con il coinvolgimento permanente dei gruppi di Camera e Senato, guardando all’urgenza di restituire all’Italia un governo nel pieno delle sue funzioni e che poggi su un’ampia e solida maggioranza parlamentare». La linea del Pd, dunque, rimane quella che prefigura un governo sostenuto da una solida base politica e numerica, di stampo chiaramente europeista, guidato da Giuseppe Conte, come più volte rimarcato da Zingaretti. Le elezioni rimangono «una sciagura da evitare» per Zingaretti, ma anche un «rischio che non si può escludere». I più ottimisti nel fronte rosso-giallo sul fatto che poi alla fine la maggioranza si possa ricomporre con numeri certi ne fanno una questione di «lealtà»: «Stiamo preparando il tavolo come richiesto da Iv, Renzi non può più strappare sulla figura di palazzo Chigi». Un auspicio più che una convinzione. Perché il timore è sempre lo stesso. Ovvero che Renzi quando parla di esecutivo politico non pensa a Conte e quando accenna all’esecutivo istituzionale pensa a Draghi o Cartabia. In entrambi i casi andrebbero verificati numeri e reazioni delle forze politiche. Al momento la partita è sui programmi, almeno quella alla luce del sole, poi si sposterà più in alto e si verificherà se è vero che Iv punta al ministero delle Infrastrutture o al Mise (ma M5s non sarebbe disposto a cedere) ed insisterà per togliere il dicastero del Lavoro, quello della Giustizia e dell’Istruzione a M5s. Di sicuro vorrà avere voce in capitolo sul dicastero di via Arenula, mentre - sempre se si dovesse concretizzare il ’Conte ter’ - entrerebbe Orlando in veste di vicepremier o di ministro del ’Recovery’.