Bisogna arrivare a pagina 51 del Sistema, la confessione-denuncia sulla realtà impantanata in cui si agita la magistratura italiana, dettata da Luca Palamara, già grande stella del potere giudiziario del nostro paese, ad Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, il quotidiano di casa Berlusconi, per imbattersi in una prosa distante dalle limature, dal linguaggio centellinato, e dalla furbizia che a tratti emerge dall’intero testo. In pochissime righe Luca Palamara riassume l’origine del peccato originale che ha innescato i peccati dell’attuale situazione: quelli della magistratura e quelli della politica. Detta a Sallusti: «Per esempio non mi torna come il Parlamento – su spinta della sinistra risparmiata dalle inchieste – possa aver approvato la legge suicida che toglie l’immunità ai parlamentari, aprendo di fatto lo sconfinamento della magistratura nel terreno della politica. Rimango sorpreso dal fatto che la strutturale dipendenza della politica dal finanziamento privato venga spacciata per banale e criminale corruzione di alcuni partiti, e che per la prima volta nel 1994 un Presidente del Consiglio in carica, Silvio Berlusconi, venga raggiunto da un invito a comparire». Palamara è così sinceramente stupito da quegli eventi che consegnarono il potere politico italiano alla magistratura da essere perfino impreciso nelle definizioni tecnico-giuridiche. Infatti, l’immunità parlamentare in Italia, al contrario di quel che scrive, non è stata mai eliminata. E’ stata invece abolita l’autorizzazione a procedere per indagare sui parlamentari. In precedenza il magistrato che si fosse imbattuto, o avesse creduto di essersi imbattuto, in reati consumati da un parlamentare non poteva compiere alcun atto d’indagine senza prima chiedere al parlamento l’autorizzazione a procedere nelle indagini. Era tutelato. Il Parlamento avrebbe dovuto in precedenza autorizzare le indagini. Avere eliminato questa barriera protettiva, con una riforma di rilievo costituzionale, significò dare ai magistrati il potere di procedere nelle indagini contro i parlamentari che è vero continuavano ad essere protetti dall’immunità (che hanno ancora oggi), ma che potevano venire sputtanati e sono stati sputtanati da fughe di notizie, cioè dal meccanismo che s’è configurato come un micidiale carrarmato mediatico-giustizialista. E’ vero che il Parlamento italiano aveva a lungo approfittato di quel potere di tutela autorizzando indagini sui parlamentari con la stessa avarizia dell’Arpagone di Moliere. Ma invece di intervenire su questo punto e su tutti gli stratagemmi parlamentari a protezione di inaccettabili privilegi della categoria, avere eliminato l’autorizzazione a procedere nelle indagini avrebbe ed ha modificato in modo drastico l’equilibrio e l’autonomia dei poteri tra la politica e la magistratura facendo della magistratura un potere senza alcun contrappeso. Insomma, s’è gettata l’acqua sporca con il bambino dentro. Il quadro oggi è nettamente sbilanciato. I parlamentari godono dell’immunità parlamentare ma possono essere trascinati sui giornali nei notiziari radiofonici e televisivi, mostrati all’opinione pubblica carichi d’indagini che gli addossano colpe e responsabilità insopportabili. Nei fatti, nonostante l’immunità, sono costretti a soccombere, spesso rinunciando a perseguire le proprie scelte politiche. Di contro i magistrati che muovono accuse gravissime, anche quando quelle accuse a fine percorso si risolvono in aria fritta e spezzano l’impegno o la carriera di un politico, non subiscono alcuna conseguenza. Anzi, hanno già immagazzinato e utilizzato consenso e scatti di potere.L’autorizzazione a procedere è stata cancellata in un momento drammatico della storia italiana: il tempo di tangentopoli. La decisione venne presa in un parlamento dove sui banchi delle forze di destra avevano ripetutamente dondolato, tra urla e schiamazzi, cappi e nodi scorsoi come indicazione per la soluzione del problema corruzione addebitato senza grandi distinzioni all’intero ceto politico italiano. Anche se quel clima e quelle responsabilità, di cui ancora paghiamo oggi il costo, non appaiono mai nel racconto e nei ricordi di Palamara e Sallusti. Ma lo squilibrio tra potere politico e magistratura può essere ormai accettato solo se si è convinti dell’esattezza del teorema Davigo per cui tutti gli innocenti sono in realtà colpevoli che l’hanno fin qui sfangata. Come uscirne? Non sarà facile. Col libro di Palamara si può essere polemici e critici duri. Si può sostenere che l’enfant prodige della magistratura italiana cerca anche lui di sfangarsela e che non è un’anima innocente. Palamara racconta fatti in modo da attenuare le proprie responsabilità. Ma l’insieme di quei fatti, non la loro interpretazione che può anche essere maliziosa e o interessata, fanno emergere una realtà che riduce drasticamente il prestigio della magistratura. Perfino le richieste di quanti chiedono che si faccia luce impietosa su tutti i fatti raccontati restano, quindi, molto al di sotto di ciò che serve per restituirle dignità piena. E’ questo il problema da affrontare. E non sarà facile.