«Venni accusato, accusato fra virgolette, di volere il pubblico ministero dipendente dall'esecutivo quando in un convegno dissi che occuparsi della obbligatorietà dell'azione penale è sì un fatto importante, ma non è essenziale. Perché? Perché l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale ha una sua valenza diversa, a seconda del processo penale in cui viene configurata l'azione penale in una maniera anziché in un'altra. Per uscire dal vago e per cercare di spiegarmi meglio, nel nostro codice attuale, ispirato a un principio dispositivo: processo di tipo, chiamiamolo, accusatorio, o quanto meno tendenzialmente tale -, l'azione penale viene esercitata soltanto quando viene formulata l'imputazione e si chiede il rinvio a giudizio dell'indagato, che a quel punto diventa imputato, o si esercitano i riti alternativi.

Tutto questo può sembrare astruso, ma significa soltanto una cosa su cui pochi riflettono o fanno finta di non riflettere: significa che tutta l'attività delle indagini preliminari, tutta l'attività investigativa svolta dal pubblico ministero, è un'attività che non è regolata, che non sta sotto l'egida del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.

Quanto detto è stato utilizzato in un convegno, con il richiamo all'art. 97 della Costituzione, da un illustre autore, il quale ha affermato che l'attività delle indagini preliminari, essendo un'attività amministrativa, è disciplinata da quella norma che regola il buon andamento della pubblica amministrazione. Ciò significa introdurre di soppiatto la discrezionalità nella fase delle indagini preliminari. Ecco quindi che siamo di fronte a problemi di una enorme complessità, che non si possono liquidare accusando Tizio o Caio di volere un pubblico ministero dipendente dall'esecutivo, ma cercando di sforzarci tutti quanti per rendere un sistema nel suo concreto coerente.

Sovente, nella mia ormai non più tenera età, ho assistito, da parte degli organi associativi, ad accuse ricorrenti nei confronti del potere politico, di sostanziale inattuazione dell'art. 109 della Costituzione, quello cioè secondo cui la magistratura dispone direttamente della polizia giudiziaria. Abbiamo fatto - o hanno fatto - un codice di procedura penale in cui il rapporto di dipendenza della polizia giudiziaria rispetto alla magistratura è ormai pressoché integrale, ed ecco che cominciamo a renderci conto che forse, anche qui, le cose stanno in una linea mediana, per evitare da un lato che il funzionario di polizia si senta deresponsabilizzato, e dali'altro che il pubblico ministero, spesso non dotato di una sufficiente professionalità, possa creare problemi alla conduzione delle indagini, mediante direttive che non sono adatte a quel singolo caso.

Ecco quindi che il problema dell'autonomia e dell'indipendenza viene calato nel concreto, perché, come sembra intuitivo, una autonomia e indipendenza formale della magistratura significa ben poco.

Il pubblico ministero dipende sì dalia magistratura, ma rispondendo a esigenze e a istanze decisionali diverse da quelle della magistratura.(...). Ecco perché - e mi avvio rapidamente alla conclusione - a me sembra che fosse necessario il richiamo a quelle pagine del prof. Miglio, per rendersi conto che ormai non c'è più tempo, se mai ve n'è stato, per astratte affermazioni di principio. Occorre fare in modo che queste soluzioni, riguardanti il pubblico ministero, e soprattutto in genere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, rispondano alle reali esigenze della società, siano funzionali alle esigenze della collettività e, come tali, vengano riconosciute come un valore da custodire e rafforzare da parte di tutta la società, e non già un privilegio che, come tutti i privilegi, è sempre odioso».