Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva ed ex magistrato, auspica che la strategia sulla giustizia di un eventuale nuovo governo «riparta dalla riforma Orlando» e non si tira indietro quando viene ipotizzata la presenza proprio dell’esponente dem a via Arenula al posto di Alfonso Bonafede.

Onorevole Ferri, cosa chiederete in tema di giustizia a chi arriverà a palazzo Chigi affinché abbia il vostro sostegno?

Non sta a me fare richieste né al Presidente della Repubblica né al presidente del Consiglio, ma certamente il governo che verrà dovrà dare un segnale di discontinuità rispetto agli ultimi due esecutivi.

Il segnale che chiedete coincide con la rimozione di Bonafede da ministro della Giustizia?

Bonafede ha fatto il ministro sia nel Conte uno che nel Conte bis, che come è facile immaginare anche per chi non si occupa di giustizia avevano visioni diverse su questo tema. Ma la debolezza dell’operato del Conte bis sulla giustizia è nei fatti, perché pur essendosi salvato su diversi passaggi critici come la Tav, poi sulla giustizia ha fatto un passo indietro dimostrando di non essere sicuro. Aver aperto la crisi dopo il voto di fiducia ma prima della relazione sulla giustizia è il riconoscimento che questa politica non ha avuto consensi in Parlamento.

Dice che non è questione di nomi, eppure la distanza tra le vostre proposte e quelle pentastellate è abissale. Il problema è Bonafede?

Il problema non è Bonafede ma quello che ha portato avanti, dall’ordinamento penitenziario alla magistratura onoraria. Veti sui nomi abbiamo sempre detto che non si faranno, perché non sono corretti. Ma sui temi sì e lui non ha affrontato nessuna di queste questioni. Un settore molto tecnico come la giustizia, nel quale occorre confrontarsi ad esempio con la magistratura e l’avvocatura, chiede risposte adeguate che non sono state date.

La discontinuità più forte che chiedete è quella sulla prescrizione?

La riforma della prescrizione è certamente uno dei punti fondamentali. Io ci ho lavorato con il ministro Orlando e avevamo trovato punto di equilibrio allungando i tempi della prescrizione tenendo conto delle garanzie dell’imputato e della persona offesa attraverso la giusta durata del processo. Tutti hanno interesse a un processo veloce, anche gli stessi testimoni. Ne va della ricerca della verità. I “non ricordo” dei testimoni a otto anni dal fatto perdono di quella genuinità tipica anche della prova.

Crede sia opportuno che il nuovo governo riparta da quella riforma?

Sì, perché non sappiamo ancora se funzioni o no. Avevamo chiesto a Bonafede di monitorarla e modificarla in caso non avesse funzionato. Lui si era preso l’impegno di istituire una commissione e aveva assicurato di pensare a una riforma che garantisse i temi celeri del processo penale. Se rendiamo veloci i processi, il dibattito sulla prescrizione diventa un tema superato. Ma anche qui tanti annunci e pochi fatti.

Magari la persona giusta per ripartire dalla riforma Orlando è lo stesso Orlando. Farete il suo nome come futuro ministro della Giustizia?

Le decisioni sui ministri non spettano a me ma al futuro presidente del Consiglio incaricato, che li propone, e al Presidente della Repubblica, che li nomina. Posso però dire di aver lavorato molto bene con Orlando e di essere stato impressionato dalla sua capacità di ascolto, dimostrata ad esempio in occasione degli stati generali sulle carceri che facemmo alla presenza di Napolitano prima e di Mattarella poi e aprendo il dialogo alla società civile. Un ministro della giustizia deve saper ascoltare e poi decidere. E lui lo sa fare.

Da quali punti programmatici chiedete di ripartire?

Sarò schematico. Servono sia la riforma dell’ordinamento penitenziario che quel del processo civile e penale, garantendo tempi certi. Poi occorre tornare alla riforma Orlando sulla prescrizione, coinvolgendo avvocatura e magistratura nel monitoraggio pregnante del suo funzionamento. Infine, bisogna investire sulle garanzie del processo penale e civile telematico, puntando sulle notifiche, migliorare quello che si è già fatto sulla depenalizzazione e rafforzare ulteriormente i riti alternativi.

Un programma vasto e impegnativo. Servirà un governo stabile e duraturo per portarlo a termine, non crede?

Come quando si parla di Recovery plan, anche in tema di giustizia occorre ragionare come Paese e non come interesse di partito. Ci vogliono maggioranze allargate perché chi verrà dopo deve condividere un certo programma, dal momento che su alcune questioni non si può tornare indietro. Lo stesso Bonafede a volte ha portato avanti le nostre politiche, il problema è che non ha ha saputo implementarle. Sulla politica delle assunzioni del personale ad esempio c’è stata collaborazione. A una mia interrogazione di qualche giorno fa ha risposto parlando del nostro concorso come di un «passaggio epocale».

Lei ha parlato di Recovery Plan. Come devono essere investiti per la giustizia i denari messi a disposizione dall’Unione europea?

Il Recovery plan serve per fare investimenti strutturali che diano discontinuità e lascino un segno. Le urgenze sono la digitalizzazione ( che non deve diminuire le garanzie) e l’edilizia giudiziaria, con il recupero di posti nelle carceri e interventi strutturali ( non credo molto nella creazione di nuove carceri, la pena deve essere certa ma umana e dignitosa) e degli uffici giudiziari. Poi occorre investire nella formazione del personale amministrativo e nell’organizzazione: non si possono aspettare mesi per spostare i fascicoli da un posto all’altro.