Giacinto della Cananea, ordinario di Diritto amministrativo alla Bocconi, è componente laico del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria. Nel 2018 venne scelto da Luigi Di Maio come capo del Comitato del M5S per il “contratto di governo”.

Professore, il dibattito sulla riforma della giustizia rischia di condizionare il destino del Recovery italiano?

Può condizionarla in due modi. Da un lato, da molti anni le raccomandazioni della Commissione europea segnalano che il settore pubblico è d’ostacolo all’incremento della crescita economica, segnatamente per “la lunghezza delle procedure, tra cui quelle della giustizia civile” e “i tempi di esaurimento dei procedimenti penali presso i tribunali d’appello”, come si legge nella “Raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2020 dell’Italia” ai punti 25 e 27. Sono stimoli che vanno tenuti nel debito conto ai fini della predisposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finalmente presentato alle Camere il 12 gennaio. Dall’altro lato nelle prossime ore dovrebbe essere presentata, seppur in forma solo scritta, la Relazione del ministro sull’amministrazione della giustizia. Al di là del rischio di un giudizio parlamentare negativo, che alcuni temono possa compromettere il processo di approvazione del Piano, c’è un dato certo: il Piano va in ogni caso completato. Come ha osservato il presidente della Repubblica l’ 8 agosto scorso, “il Piano rappresenta un impegno ineludibile; un appuntamento da non perdere per incidere su nodi strutturali”.

Alfonso Bonafede aveva annunciato, appena insediatosi a via Arenula, che avrebbe realizzato una riforma “strutturale della Giustizia”. A distanza di oltre due anni, però, siamo ancora a una fase non avanzata dell’iter parlamentare. Dipende da una mancanza di volontà politica o da altro?

Molti hanno notato i ritardi, pochi si sforzano di comprenderne le cause. La prima è che la classe politica italiana coltiva, con poche eccezioni, il mito della “grande riforma”, che è inevitabilmente di tipo legislativo e richiede lunghi negoziati tra i parlamentari, molti dei quali mostrano una passione non per il decidere, ma per “lo stare per decidere”. La seconda causa riguarda l’attuale Parlamento. Dallo studio che coordinai poco dopo le elezioni del marzo 2018 emerse chiaramente che la giustizia era, unitamente alla politica estera, il tema su cui si più differenziavano i programmi elettorali dei tre partiti che avevano più eletti. Lo ha confermato il dibattito parlamentare dell’anno scorso sulla giustizia. La terza causa è l’autoreferenzialità di molti giuristi, poco inclini a dare ascolto alle osservazioni altrui – come quelle esposte da Daniela Marchesi nel volumetto “Litiganti, avvocati e magistrati” quasi venti anni or sono – e, come ha notato Francesco Giavazzi, a dare spazio a chi ha capacità gestionali.

Come lei ha ricordato, la Commissione Ue chiede all’Italia riforme finalizzate in particolare alla “riduzione della durata dei processi civili e penali nei tre gradi di giudizio” e alla “riduzione del carico della sezione tributaria della Cassazione”. Il governo, invece, ha risposto con il blocco della prescrizione. Una riforma che, a detta di tutti, aumenterà ancora di più la durata dei processi. Può dirci qual è la sua opinione?

Il problema si manifesta con particolare intensità nell’ambito tributario: “Presso la Corte suprema di Cassazione l'elevato numero di cause in entrata, combinato ai tassi di smaltimento inferiori della sua sezione tributaria, incide negativamente sull’efficienza generale della Corte e solleva preoccupazioni per la qualità del sistema della giustizia tributaria”, si legge nella Raccomandazione del 2019, al punto 27. La Cassazione è, quindi, parte del problema, oltre che della soluzione, perché è un’istituzione fondamentale, che va restituita al suo ruolo. Sul blocco della prescrizione, la mia opinione è sempre stata critica, per ragioni di costituzionalità, evidenziate dall’ex presidente della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, e di opportunità, per il venire meno d’uno stimolo a celebrare tempestivamente i processi.

Al settore Giustizia sono stati destinati 3 miliardi di euro. In particolare 2,3 miliardi per assunzioni di personale e 450 milioni per nuove cittadelle giudiziarie e riqualificazione “green” e antisismica degli edifici esistenti. Qual è il suo giudizio?

Temo che ci sia un errore d’impostazione, ossia pensare che la modernizzazione della giustizia sia un’attività ad alta intensità di lavoro, mentre richiede investimenti soprattutto sulla formazione dei magistrati e sulla loro produttività. Non ci si può limitare ai procedimenti disciplinari, occorrono gli incentivi economici e di tipo reputazionale. Vanno richiamati nei tribunali magistrati adesso destinati ad altri compiti. Sulla riqualificazione antisismica, molti architetti e ingegneri evidenziano i ritardi dell’Italia rispetto al Giappone e ad altri Paesi.

Lo scoppio della pandemia ha messo in luce tutte le criticità del Paese sul fronte dell’innovazione e della digitalizzazione. La giustizia ha pagato lo scotto maggiore. Faccio un esempio: il personale amministrativo ( a iniziare dai cancellieri), noinoistante fosse obbligatorio lo smart working, non poteva lavorare da remoto in quanto impossibilitato ad accedere alla rete e al REgostro generale. Come spiega questi ritardi?

Il sistema amministrativo italiano è stato colto alla sprovvista sul piano normativo, e non basta qualche tardiva circolare della Funzione pubblica, ma prima ancora su quello culturale. Ricordo che alcuni anni fa la mia proposta di utilizzare i collegamenti telematici per alcune riunioni del Consiglio di presidenza della Corte dei conti fu accolta dai più con stupore. C’è anche un forte e ingiustificabile ritardo negli investimenti sulla rete delle comunicazioni elettroniche, rispetto ai nostri partner europei. Mi sono sempre chiesto come mai non se ne chiedesse conto pubblicamente ai manager che l’hanno gestita.

Un'ultima domanda. Se fosse il ministro della Giustizia, quale sarebbe il suo primo provvedimento?

Chiederei immediatamente d’inserire nel Piano nazionale di ripresa e resilienza una serie di obiettivi intermedi, le modalità per controllarne l’attuazione, le misure da prendere in caso di ritardi e discostamenti.